UNA LIGURIA FRAGILE FRA CEMENTO E IMPREVISTI DEL CLIMA

UNA LIGURIA FRAGILE FRA CEMENTO E IMPREVISTI DEL CLIMA
LA TRAGEDIA della Sardegna e il fallimento della Conferenza di Varsavia 
sui cambiamenti climatici parlano anche alla Liguria, territorio fragile, 
oppresso dal cemento e nel cuore delle turbolenze climatiche del 
Mediterraneo, come dimostrò la tragedia genovese e delle Cinque Terre di 
due anni fa. Dopo pochi giorni la vita politica si è ripresa il suo spazio 
di sempre, e la questione ambientale è scomparsa dall’orizzonte. Fino alla 
prossima catastrofe, purtroppo.

C’è invece qualcosa di profondo che non va 
e di cui dovremmo prendere coscienza: sempre più il surriscaldamento 
climatico comporta l’aumento dei fenomeni meteorologici estremi (i 
“cicloni extratropicali”), che si trasforma in aumento del rischio 
idrogeologico. Mentre la percezione del rischio è molto scarsa, e facciamo 
troppo poco per affrontare sia la crisi climatica che quella 
idrogeologica. Eppure se lo facessimo investiremmo dieci, per ottenere 
trenta o quaranta nel giro di pochi anni, perché eviteremmo non solo le 
vittime ma anche i costi per riparare i danni. E creeremmo molti posti di 
lavoro.
Certo, per essere all’altezza delle sfide occorrerebbe un grande “piano 
nazionale di sicurezza territoriale”, di cui si vedono ancora scarse 
tracce. Il ministro Andrea Orlando ha presentato la bozza della “Strategia 
nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”, ma il governo evita la 
scelta contro il carbone, tra le principali cause della produzione di CO2, 
la cui crescita iperbolica è tanta parte delle cause dello squilibrio del 
clima. E quest’anno vengono stanziati 30 milioni per il rischio 
idrogeologico, quando ne servirebbero 500, come ammette lo stesso Orlando: 
perché non è considerato una priorità.
PRIORITÀ è invece il cemento che opprime e invade il territorio italiano: 
2 milioni e 500.000 edifici negli ultimi dieci anni, di fronte a un dato 
demografico stagnante, e poi le “grandi opere”, strade e autostrade che 
sventrano colline, spianano campagne, rompono equilibri idrogeologici 
fragili. Mentre si dimenticano le più elementari regole di prevenzione e 
manutenzione, dal divieto di costruire nelle zone a rischio alla 
restituzione ai fiumi dello spazio naturale di esondazione.
Molto, però, possono fare anche le Regioni. Qualcosa, in Liguria, si 
muove. La giunta ha approvato una proposta di Piano energetico ambientale 
regionale, apprezzabile per gli obbiettivi di aumento dell’efficienza 
energetica e delle fonti rinnovabili, molto meno per l’assenza di 
interventi sulle cause dell’aumento di CO2: le grandi centrali a carbone e 
un sistema dei trasporti basato ancora sulla centralità dell’automobile. 
Da anni, inoltre, è avviata la discussione sul Piano Territoriale 
regionale, che dovrebbe basarsi sul contenimento del consumo di suolo e 
sulla concentrazione dell’attività edilizia nel riuso e nella 
riqualificazione del territorio già urbanizzato: ma l’iter sembra fermo su 
un binario morto. Su Repubblica Mario Tullo ha detto, a proposito del Pd: 
“noi abbiamo bisogno, in vista del 2015, di uno sforzo di innovazione 
programmatica”. Sono d’accordo, e penso che valga per tutto il 
centrosinistra e anche per centrodestra e grillini. In particolare, il 
fatto che stiamo entrando nella nuova era della crisi climatica e 
idrogeologica carica di responsabilità inedite chi si candida a governare 
la Regione. La Liguria è un’avanguardia e un laboratorio, ormai i cicloni 
sono tra noi. L’innovazione di cui parla Tullo ha nel contrasto alla crisi 
climatica e idrogeologica un punto decisivo e irrinunciabile.

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