Un po’ di conti in tasca agli altri (Emilia per cominciare)

Se ci fossero stati tutti, in un’unica sala sarebbero stati presenti tredici pensionati reggiani che, complessivamente, valgono oltre 50mila euro netti di vitalizi al mese, l’equivalente di circa 100 pensioni “standard” da 500 euro. Senza contare Angelo Alessandri, Renzo Lusetti, Giulio Fantuzzi e Claudio Grassi, che per requisiti di età o di durata del mandato non hanno ancora acquisito il diritto di riscuotere l’assegno da ex parlamentare, almeno secondo i dati in possesso alla Camera. Pensioni “onorevoli”, come le cariche ricoperte dagli ex onorevoli emiliani che – a parte comprensibili defezioni per questioni anagrafiche – ieri si sono ritrovati al Valli per un dibattito su “Il parlamento e la Costituzione”, quella stessa Costituzione che ha sancito il diritto al loro vitalizio, modificato soltanto nel gennaio 2012. Dall’anno scorso, infatti, tutto è cambiato: un parziale addio al vitalizio d’oro (che resta valido però per tutti i pensionamenti e per tutto il versato anteriore al primo gennaio 2012), rimpiazzato da un sistema contributivo. E che contributi. Per i 13 ex onorevoli reggiani, la pensione media si aggira su circa 3.800 euro al mese. Netti. Quasi quattro volte quanto possono sperare 7 milioni di italiani, il 44% del totale dei pensionati, che secondo recenti stime Istat a fine mese, dopo una vita di lavoro non riesce a trovare un assegno che superi i mille euro. «Pensioni d’oro? Non è un più un vitalizio: con la pensione contributiva viene corrisposto quanto versato – spiega Pierluigi Castagnetti, per circa 22 anni in Parlamento, con una carriera che adesso per sua stessa ammissione gli frutta oltre 4mila euro di pensione – il principio del vitalizio era nato per consentire ai parlamentari di essere liberi di svolgere il proprio mandato senza preoccupazioni. Se valga ancora oggi? No, infatti è stato cambiato». Poi aggiunge: «È vero, sono cifre eccessive. E infatti io ho deciso di rinunciare al vitalizio regionale, che pure mi spettava. Una rinuncia che lo Stato non rende ancora possibile per legge, al contrario della Regione». Ma il passaggio dal vitalizio al sistema contributivo ha portato risparmi? Si direbbe di no. Non solo perché i diritti acquisiti prima del 31 dicembre 2011 non sono stati toccati, ma soprattutto perché la schiera di ex parlamentari aumenta ad ogni legislatura. Solo nelle ultime elezioni, sono stati circa 240 i non rieletti (con nomi illustri come Gianfranco Fini), costringendo così il Parlamento ad aumentare la spesa pensionistica di circa 7 milioni nei bilanci di Camera e Senato, dal momento che questa voce a differenza delle altre categorie lavorative non passa per l’Inps. «Le cifre sono state in gran parte ridimensionate – si affretta a giustificare l’ex senatore Alessandro Carri – in più non c’è stato nessun adeguamento nel costo della vita, nè aumenti in ordine alle retribuzioni parlamentari. Più che cifre eccessive, esiste una disparità tra vitalizi: chi ha fatto una legislatura prende poco più di duemila euro netti, chi ne ha fatte di più arriva anche a 7-8mila euro. Un prelievo fiscale sulle pensioni d’oro? Il mio prelievo è già consistente. Credo che sia un argomento da antipolitica». Tra gli ex parlamentari, anche l’attuale assessore allo Sport del Comune, Mauro Del Bue: «I manager di Stato secondo i sondaggi sono i più pagati d’Europa. Queste sono vere disparità. Ma capisco che parlar male della politica vada di moda». Sia Castagnetti che Del Bue sono però favorevoli ad un prelievo fiscale “aggiuntivo” per le pensioni d’oro, quelle oltre 90mila euro: un provvedimento giudicato incostituzionale dalla Consulta ma che, per i due ex parlamentari reggiani, rispetterebbe il criterio del «chi ha di più, deve dare di più».

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