I continui appelli al limite dell’assistenzialismo di stampo meridionalista che si possono riscontrare sulla stampa locale, riguardo alla situazione economico lavorativa della Provincia di Savona denotano il basso livello delle classi dirigenti savonesi. Dal 2016 diversi comuni della provincia sono stati dichiarati area di crisi industriale complessa, pertanto è necessario domandarsi se gli investimenti attivati abbiano contribuito a risollevare il settore industriale ed occupazionale della provincia. Sicuramente la pandemia ed oggi la guerra in Ucraina non aiutano.
Secondo Andrea Pasa, segretario della CGIL di Savona, vi sarebbero ancora 60 milioni di euro fermi per finanziare i programmi di rilancio per l’area di crisi industriale complessa. Questo potrebbe evidenziare diversi aspetti quali: una mancanza di programmazione da parte delle aziende che non richiedono i finanziamenti messi a disposizione per cercare di rilanciare le proprie produzioni, una dimensione delle aziende troppo piccola con strutture aziendali che non sono in grado di gestire i bandi, o anche la complessità burocratica di accesso a questi fondi.
Spesso la tanta burocrazia è dovuta ai controlli per evitare le frequenti italiche truffe per accedere ai finanziamenti a pioggia, come anche hanno sottolineato il ministro dell’Economia Daniele Franco ed il presidente del Consiglio Mario Draghi riguardo agli incentivi edilizi.
I bassi salari che limitano la possibilità di spesa di molti lavoratori sicuramente non aiutano la ripresa dei consumi interni e quindi della produzione. Per l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina “è ora di agire sugli stipendi” (La Stampa 17 maggio 2022).
La CGIL di Savona per riportare all’attenzione i temi del lavoro, della pace, della giustizia sociale e della democrazia non poteva che organizzare un assemblea pubblica, in vista della più ampia manifestazione nazionale che si è tenuta a Roma sabato 18 giugno.
Erano evidentemente altri tempi, ma neanche troppo lontani, quando il 23 marzo 2002 veniva riempito il circo Massimo per respingere l’assalto all’articolo 18 tentato dal governo Berlusconi, o lo sciopero generale del 6 settembre 2011 contro la manovra economica sempre del governo Berlusconi.
Con quelle mobilitazioni dai grandi numeri qualche risultato lo si ottenne. Oggi, a livello nazionale, dovendosi accontentare della cornice di Piazza del Popolo a Roma o a livello locale con i le solite inconcludenti assemblee pubbliche, tavole rotonde o comunicati stampa, molto probabilmente i risultati non potranno che essere molto ridimensionati se non nulli.
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