Sul caso del campo di Legino Sul caso del campo di Legino, quartiere di Savona, che la Prefettura con la Curia vorrebbe adibire ad “hub” di smistamento profughi, credo si debba fare un ragionamento scevro da umori di pancia ma di ciò che si può o non si può fare in base alla normativa vigente, a prescindere da che piaccia o meno, perché per cambiarla si deve intervenire principalmente a livello nazionale ed europeo. Oltre ciò che è di buon senso fare. La prima riflessione… |
è la questione ovviamente nazionale di flussi migratori verso il nostro paese che è oggettivamente fuori controllo, lo è per responsabilità della politica europea e lo è per parte preponderante, per la politica nazionale. Il governo Renzi ed Alfano non decidono, si limitano come si dice in Liguria, a fare “tappulli”. Ma un problema del genere, perché di problema si parla se un fenomeno così non è governato, non si risolve a tappulli né tantomeno si limita. La conseguenza immediata è la ricaduta sugli enti locali, attraverso le Prefetture che in alcuni casi attivano freddamente circolari ministeriali. Ed il caso di Legino diventa un casus belli su cui si accende la discussione, con toni anche sopra le righe. Non credo e non voglio pensare che Savona, la mia città, sia una città intollerante, come alcuni vorrebbero far credere. Penso invece sia giusto porsi il problema dell’accoglienza contestualmente a come viene strutturata e come viene pubblicizzata alla cittadinanza. Nel caso specifico quasi come un fulmine a ciel sereno si propone, per disponibilità della Curia e interesse della Prefettura che il campo sportivo abbandonato in zona Legino possa divenire una sorta di centro accoglienza per tutti quei soggetti migranti che fanno richiesta di asilo politico. La prima domanda che va posta, ed il Comune di Savona non deve perdere tempo, è esattamente quale tipologia di centro accoglienza si prevede, si tratta si quelli temporanei attivati dai Prefetti ai sensi dell’art. 11 d.lgs. n. 142/15 (comunemente denominati Centri di Accoglienza Straordinaria – CAS)? Perché se così fosse si vuole fare una iniziativa che è già “obsoleta” nel senso che ora tali interventi dovrebbero essere effettuati dallo SPRAR, destinato a divenire, quando adeguatamente ampliato, l’unico sistema di seconda accoglienza. Per arrivare a questo obiettivo, è previsto un graduale riassorbimento dei CAS, per assicurare l’omogeneità degli standard qualitativi di accoglienza e dei servizi erogati. Cosa rappresenta lo SPRAR? Dovrebbe essere lo strumento per richiedenti protezione internazionale, regolato dal d.lgs. n. 142/15, che all’art. 14 prevede, per la fase di seconda accoglienza, l’applicazione del sistema di accoglienza territoriale SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) attraverso interventi di “accoglienza integrata”, che vanno oltre il vitto alloggio. Ricordando che è comunque sempre finanziato con fondi pubblici di concerto con gli Enti Locali che si rendono disponibili. Nel territorio ligure, tranne l’area genovese, non sono stati ancora sottoscritti protocolli di intesa per attivare lavori socialmente utili ai migranti richiedenti asilo, evitando di lasciarli nell’inattività negativa per loro e per chi vede inevitabilmente bighellonare persone che potrebbero rendersi utili. Stante i dati del Ministero si stima che per il 2016 possano arrivare circa 170.000 migranti, che è mediamente simile al 2014. Di questi, per pari numeri al 2014 si erano avute circa 60.000 richieste di asilo, ad oggi nel 2016 sono state presentate 40.512 richieste di asilo in Italia (35mila da parte di uomini), il 58% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le commissioni d’asilo hanno esaminato quest’anno 40.699 domande di protezione: lo status di rifugiato è stato concesso al 4%, la protezione sussidiaria al 13%, quella umanitaria al 18%, il 5% è risultato irreperibile ed i non riconoscimenti sono stati il 60%, un dato in crescita. La distribuzione dei richiedenti asilo sul territorio ligure, è cresciuta dall’1 al 3% del totale delle domande sull’intero territorio nazionale, dal 2013 al 2015, la Liguria risulta essere la quattordicesima regione per percentuale di numero migranti rapportato con il numero complessivo di migranti accolti nel nostro paese, non viene però preso in considerazione il peso sulla popolazione residente, dato invece importante per capire la densità di presenze sul numero di abitanti che è uno degli elementi socialmente critici. Non basta a mio avviso ragionare sul numero di abitanti ma anche sulla densità per superficie. I richiedenti asilo rientrano quindi in un percorso di accoglienza che dura quantomeno il periodo in cui le commissioni territoriali analizzano la domanda e accolgo o respingono la richiesta di asilo, periodo che ha durata variabile e durante il quale non sono rari i casi in cui le persone si danno alla macchia. Composto questo quadro, e sfruttando anche quanto previsto dal decreto legislativo 142/2015, si dovrebbe fare un piano a livello regionale delle previsioni di arrivi e della capacità di accoglienza del territorio, ed ogni territorio dovrebbe a sua volta farlo per le singole provincie quantomeno, mettendo a fattor comune tutti gli enti locali che “preventivamente” con la Prefettura possano mettersi ad un tavolo e affrontare il nodo: chi, quanto e dove si possono accogliere migranti richiedenti asilo politico (compresi rifugiati da zone di guerra). Recentemente l’assessore regionale Sonia Viale ha dichiarato la volontà di convocare il tavolo di coordinamento regionale che dovrebbe fare proprio questo: bene, dopo un anno e dopo che la patata bollente è arrivata a Savona, ora amministrata dal centrodestra, c’è la consapevolezza che abbiamo un problema: tranne Ventimiglia dove faceva gioco facile scaricare su Alfano ora però l’asticella si è alzata, l’Assessore non si preoccupi di cosa decideranno i 5 Stelle a Roma e Torino, siamo in Liguria. Dico anche che il comune di Savona se vuole evitare di subire deve uscire dal suo aureo isolamento che lo contraddistingue da anni e assumere, se questa amministrazione ne è capace, nutro dubbi ma mi riservo giudizi dopo un tempo minimo di lavoro del nuovo Sindaco, un ruolo di leadership nel territorio provinciale senza arringhe “da tavolo” alla Ripamonti, ma con metodo e politica, quella equilibrata che consente di ragionare andando oltre lo spostare il problema ad un altro ma di condividerlo e trovare soluzioni, prime fra tutte quelle compatibili con le condizioni socioeconomiche di un territorio, il savonese, che soffre una crisi economica e di conseguenza sociale senza precedenti, non a caso è in itinere la richieste di “stato di area di crisi complessa”. Oggi si deve avere un quadro chiaro di quali siano tutti i soggetti coinvolti nella fase di seconda accoglienza, le varie cooperative e Caritas che siano, per monitorare il lavoro svolto e la qualità dei servizi offerti, perché è inutile nascondere il fatto che diversi ci lucrano. E quindi ancor più importante conoscerli tutti, capire chi lavora bene e chi lavora male: con i primi fare un percorso collaborativo insieme ai Sindaci e le Prefetture, con i secondi indirizzarli altrove, magari dalla magistratura. E si deve avere un quadro delle strutture potenzialmente disponibili su tutto il territorio provinciale, facendo uno screening puntuale. In ultimo, tornando al caso del campo di Legino, come ho scritto precedentemente, al di là della definizione tecnica, è un sistema di seconda accoglienza sbagliato perché passa attraverso la logica dello spazio di “confino” che tutto ha ma non certo di un potenziale percorso di integrazione; benché comprenda il ragionamento della Prefettura di avere una base temporanea di appoggio prima delle sistemazioni definitive, non è il percorso corretto che la Prefettura, longa mano del Governo, dovrebbe assumere. La diffusione sul territorio il più ampio possibile di disponibilità di strutture è la chiave per evitare le tensioni sociali che innegabilmente ci sono, a onor del vero come in qualunque caso dove arrivino numerosi perfetti sconosciuti da zone di guerra delle quali non vi sono notizie e di cui in alcuni casi ci sono criticità legate anche al terrorismo che esiste, non va dimenticato. Non è quindi nemmeno con il buonismo che si affronta la questione perché non ci sono le condizioni; pragmatismo e cultura di accoglienza governata con lucidità sono le uniche chiavi, il resto è demagogia. Andrea Melis |