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Spese pazze, la Cassazione “Nessuna ingerenza dei pm”

Gino Garibaldi

I giudici mettono fine ad una azione legale di un consigliere regionale che sollevava il conflitto di attribuzioni tra poteri

“L’ultima parola, l’hanno pronunciata le Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Mettendo la parola fine a un’azione legale che, se avesse avuto successo, avrebbe potuto avere  conseguenze  clamorose. Invece anche per i giudici romani l’ex consigliere regionale di Forza Italia Gino Garibaldi, a processo in uno dei tanti filoni d’inchiesta sulle spese pazze, non poteva invocare nessuna “invasione” della magistratura nei confronti della classe politica.

Non poteva dire, in sostanza, che la Procura e il gip hanno invaso la  sfera  di attribuzioni  del Consiglio  Regionale della  Liguria e per questo bisogna sollevare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.

Garibaldi, rinviato a giudizio nel 2015 e per il quale nel processo in corso il pm Francesco Pinto ha chiesto due anni e tre mesi di pena, aveva presentato una diffida all’allora presidente del consiglio regionale Francesco Bruzzone.

Tramite il suo legale Daniele Granara, aveva chiesto a Bruzzone di sollevare il conflitto di attribuzione di fronte alla Corte Costituzionale e, di conseguenza, di annullare il procedimento penale.

Secondo Garibaldi, il Consiglio regionale ha una sua autonomia politica e organizzativa, contabile e funzionale così come garantito dalla Costituzione. E tra le funzioni garantite ci sarebbe anche quella delle decisioni sulle spese di rappresentanza e per l’esercizio delle funzioni dei consiglieri.  Per Garibaldi le spese contestate dalla  Procura  sarebbero state fatte a fini istituzionali e non ce ne sarebbero di illogiche. Per questo il pubblico ministero prima e il gip dopo avrebbero invaso la sfera di competenza della Regione.

Non trovando risposte alla sua lettera di diffida, Garibaldi era andato contro la stessa Regione, promuovendo la sua causa  prima al Tar e poi, vista la bocciatura del tribunale ligure, al Consiglio  di  Stato. Anche il secondo grado amministrativo, però, gli era andato male.  L’ultima speranza era dunque la Corte di Cassazione. Che però nei giorni scorsi ha detto ancora una volta no all’ex consigliere regionale.

M.L. da La repubblica

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