Alla fine un sussulto. Un colpo di tosse. Un piccolo terremoto nel letargo politico della maggioranza savonese. Il Partito Democratico – fino ad oggi più silente di un gabbiano in letargo – si è finalmente ricordato di essere il pilastro portante della coalizione che governa la città. E ha deciso di farlo sapere al sindaco.
L’occasione? La nomina del rappresentante del Comune di Savona nell’Autorità Portuale, un passaggio tutt’altro che secondario, considerata la centralità del porto per il futuro della città. Stavolta, però, qualcosa è cambiato: il consigliere regionale del PD, Roberto Arboscello, ha alzato la mano (e la voce) invitando il sindaco a fermarsi un attimo prima di firmare, e magari – incredibile a dirsi – a confrontarsi con il suo partito.
Un gesto che ha sorpreso molti, ma che era ormai inevitabile. Dopo le nomine a tappeto per Seas, TPL e altre società partecipate, tutte decise con uno stile più simile al solitario che al gioco di squadra, il PD ha deciso che è tempo di smettere di fare tappezzeria. Le scelte del sindaco – spesso poco ponderate, spesso poco condivise – hanno lasciato il partito maggioritario in un angolo, a subire senza fiatare. Fino ad oggi.
Certo, il messaggio è arrivato non dal segretario cittadino – che forse era impegnato in qualche riflessione zen sul senso della delega – ma da Arboscello, una figura che ha almeno il merito di parlare chiaro. E il segnale, pur arrivando da una direzione un po’ laterale, è chiaro: il PD vuole contare di nuovo, prima che sia troppo tardi.
È una buona notizia per la città. Perché, piaccia o no, le scelte fatte finora dal sindaco hanno mostrato più improvvisazione che visione, più fedeltà che competenza. E un partito forte, vigile, critico, è il minimo sindacale per evitare ulteriori danni.
Savona ha bisogno di decisioni giuste, di nomi credibili, di scelte spiegabili ai cittadini. Non di pacchetti chiusi e calati dall’alto. Se il PD ha deciso davvero di svegliarsi, anche solo a intermittenza, è un bene. Sperando che non sia un fuoco di paglia, ma l’inizio di una presenza vera.
Perché governare non è comandare. E la maggioranza non è una claque.