Savona ha deciso di salpare verso nuove frontiere culturali e, a quanto pare, di marketing, attraverso un’iniziativa che mescola ambizioni artistiche e operazioni promozionali. Al centro di questa proposta, i 27 container “brandizzati e designed for all” pronti a sbarcare nelle città partner. Un’idea che, se da un lato potrebbe sembrare un’innovativa operazione di diplomazia culturale, dall’altro solleva interrogativi sulla sostanza dell’intero progetto.
Chi ha letto le dichiarazioni legate all’iniziativa si sarà probabilmente scontrato con un lessico più affine a un pitch di una multinazionale che a un progetto culturale. Parole come “brandizzati” o “designed for all” non sembrano evocare la valorizzazione del patrimonio culturale, ma piuttosto una sorta di pubblicità itinerante confezionata in una veste glamour e accattivante.
Certo, il marketing è parte integrante delle strategie moderne per promuovere le eccellenze locali, ma viene spontaneo chiedersi: dov’è il confine tra cultura e operazione commerciale? Quando il linguaggio perde di vista l’essenza della proposta culturale per approdare in territori più vicini alla pubblicità, anche il più pacato osservatore può trovarsi spaesato.
Milena Debenedetti ex consigliera del Movimento 5 stelle ha commentato l’articolo “Savona Capitale della Cultura, le “Nuove rotte” del marketing viaggiano in 27 container brandizzati pronti a sbarcare nelle città partner” con un un post su fb …. “Io sono una pacifista, giuro. Ghandiana, che più ghandiana non si può. Ma quando leggo articoli come questo, a parte che sfido chiunque a capirci qualcosa, o a distinguere questa roba dal mortaio di Toti, la mia quiete interiore si incrina. Espressioni come “brandizzati e designed for all” suscitano in me furia belluina e ferocia cieca, trasformandomi in una potenziale berserker”
L’ironia di Milena Debenedetti coglie nel segno. La trasformazione del discorso culturale in un miscuglio di parole d’ordine aziendali come “innovazione”, “inclusività” e “esperienza immersiva” può disorientare, se non addirittura irritare. C’è il rischio che l’arte e la cultura vengano percepite come accessorie, comprimarie di una narrazione dove il protagonista è un prodotto “packaged” e pronto per il mercato.
In questo scenario, viene spontaneo riflettere: queste “nuove rotte” tracciate per Savona sono davvero ancore di cultura o vele di marketing? Siamo di fronte a un progetto in grado di stimolare il dibattito e l’identità culturale, o a un’iniziativa che rischia di ridurre la cultura a un’operazione di branding?
Forse è il momento di ripensare non solo le parole, ma anche i contenuti. La cultura è, prima di tutto, un patrimonio di idee, emozioni e storie. Savona non deve perdere l’occasione di essere non solo capitale del marketing, ma anche della riflessione e della vera innovazione culturale.