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“SAVONA VAL BENE UN FRAPPÉ”

“SAVONA VAL BENE UN FRAPPÉ”
Parafrasando Enrico IV re di Francia detto “il grande” che per poter salire al trono abbracciò il cattolicesimo pronunciando la celebre frase “Parigi val bene una messa” potremmo fare un paragone con la nostra città a distanza di circa 5 secoli.
Eh sì perché a Savona poco importa se la crisi abbia messo in ginocchio piccole e medie imprese della provincia o abbia costretto a chiudere centinaia di piccole attività commerciali (schiacciate anche dai grandi centri commerciali e non solo dalla crisi), l’importante è mobilitarsi perché la storica latteria Gina di piazza Chabrol, famosa per i suoi ottimi frappé, non chiuda. E anche quando…

…abbiamo saputo che non chiuderà, ma semplicemente la gestione non sarà più degli Aonzo che tutte le mattine da 30 anni a questa parte tirano su la serranda, non va bene ugualmente perché gli storici proprietari non hanno diritto di mandar via gli anziani coniugi.

Ora premetto che da savonese ho consumato anch’io i frappé nella latteria e non sono certo quello che cancellerebbe alcuni locali che hanno fatto la storia della nostra città, locali caratteristici che andrebbero piuttosto aiutati a non morire.

Quello che più mi da fastidio è l’ipocrisia di molti savonesi, mi riferisco all’importanza data dai media locali al caso in questione, alle dichiarazioni di esponenti politici, addirittura alla mobilitazione sui social network in gruppi come “savona scomparsa” o “sei di savona se…”

Lo dico perché in questi anni di crisi nera con la disoccupazione che cresce raggiungendo percentuali pericolose per il mantenimento della democrazia, la solidarietà tra lavoratori, anche di settori differenti, è stata la grande assente. Riesco a ricordare pochissime azioni di solidarietà in cui lavoratori hanno manifestato in scioperi o cortei di altre aziende (mi vengono ad esempio in mente quelli della Fruttital alla manifestazione dei lavoratori della Reefer Terminal, anche se sono parenti).

Sono lontani i tempi in cui tutta la società civile si mobilitava contro la chiusura di un insediamento industriale che significava ricchezza per tutti, dal commercio al terziario, alle piccole imprese.

Non parliamo poi del silenzio assordante dei savonesi riguardo alla cementificazione della nostra città, spazi verdi sempre più esigui, qualche giardinetto per bambini in mezzo a pilastri di cemento (fumo negl’occhi) ed il volto di Savona che cambia senza che ce ne accorgiamo, indifferenti, tutto ci scivola addosso basta che non ci tocchi in prima persona.

Come se non bastasse ci raccontano che il territorio ligure è fragile a prescindere, che piove più di prima e che non ci sono più le mezze stagioni. Tutti luoghi comuni tranne il più importante “una volta qua era tutta campagna”, ecco era proprio la campagna a salvarci. L’unico verde pubblico di una certa consistenza che abbiamo in città è l’unico che non dovrebbe esserci per ovvi motivi, nel torrente Letimbro.

Insomma a Savona siamo fatti così, possiamo permetterci tre centri commerciali tra Savona e Vado, un esercito di quasi 30000 persone che hanno perso il lavoro, migliaia di appartamenti sfitti (però continuiamo a costruire che non si sa mai), nulla sembra scalfirci… ma non toglieteci il frappé.

OSVALDO AMBROSINI

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