C’è un silenzio strano, a Savona, nelle vie un tempo affollate da voci, vetrine illuminate e botteghe vivaci. È il silenzio del commercio che muore piano, un giorno dopo l’altro, tra saracinesche abbassate e cartelli “affittasi” che ormai fanno parte del paesaggio urbano più di qualunque monumento.
Nel 2024, la provincia ha perso 138 attività commerciali. Un’emorragia costante, che non accenna a fermarsi. Si chiudono negozi di alimentari, spariscono gli ambulanti, calano persino i punti vendita di giocattoli e carburanti: segni inequivocabili di una crisi che non risparmia nessuno. E che colpisce soprattutto il commercio al dettaglio, quello che fino a ieri faceva vivere le città e teneva in piedi i quartieri.
A Savona, ogni nuova apertura è un evento, ogni chiusura una rassegnazione. Le attività storiche si arrendono, le nuove non durano. Anche i numeri, impietosi, parlano chiaro: in un solo trimestre, le cessazioni doppiano le iscrizioni. E chi resta, spesso, lo fa tirando avanti con fatica, tra bollette insostenibili, concorrenza online e un flusso di clienti sempre più rarefatto.
Le grandi città magari resistono, si reinventano, ma nelle province – e Savona è una provincia – il declino si sente di più. Perché il commercio locale non è solo economia, è tessuto sociale, è presidio umano. E quando chiude un negozio, si spegne un pezzo di comunità.
La Liguria perde colpi, e Savona perde identità. Il commercio di vicinato, quello che conosce il nome dei clienti, che accoglieva con un sorriso e due chiacchiere, è oggi solo un ricordo