Prosegue il processo che vede al centro la centrale vadese nel quale sono imputati 26 persone, tra vertici e dirigenti dell’azienda, rinviati a giudizio con l’accusa di disastro ambientale e sanitario colposo
Ricadute delle emissioni sulla popolazione con lo scopo di caratterizzarne l’esposizione a sostanze nocive per le salute e accertarne l’incidenza, definendo l’area da prendere in esame, i dati epidemiologici attribuibili e la loro riferibilità ed utilizzabilità.
Questi gli argomenti trattati quest’oggi nell’aula magna del Tribunale di Savona da parte del pneumologo, specializzato in malattie dell’apparato respiratorio Paolo Franceschi e Paolo Crosignani, ex direttore ex Direttore della Unità di Epidemiologia Ambientale e Registro Tumori presso l’istituto Nazionale dei Tumori di Milano in merito al processo che vede al centro la centrale Tirreno Power di Vado Ligure per la quale sono imputati 26 persone, tra vertici e dirigenti dell’azienda, rinviati a giudizio con l’accusa di disastro ambientale e sanitario colposo.
I due consulenti della Procura, dopo la testimonianza del biologo, specialista in monitoraggio Stefano Scarselli, dovevano infatti determinare con la metodologia degli studi epidemiologici, i possibili effetti, in termini di incidenza di patologie umane nella Provincia di Savona, precisando la percentuale di incremento delle patologie, sia per le persone ancora in vita che per i conseguenti decessi.
“Iniziai ad occuparmi della centrale a carbone agli inizi degli anni 80, in quegli anni a Vado c’erano progetti di ampliamento della centrale a carbone ed era una situazione stranamente particolare, non era frequente una centrale in città, nel centro abitato, in mezzo alle abitazioni” ha spiegato Franceschi che dall’85 al 90 è stato consigliere di minoranza in comune a Vado.
Anni dopo, nel 2010, dopo un incontro con l’allora assessore regionale Renata Briana e i sindaci di Vado e Quiliano aveva presentato un documento nel quale specificava che si trattava di una centrale in città inserita in maniera organica in un tessuto di 75mila persone, urbano, dove era presente un’alta pressione antropica e si continuava a bruciare il più alto inquinante pur utilizzando le migliori tecnologie.
“Richiamavamo il discorso delle polvere sottili e con l’ampliamento della centrale si sarebbe continuato a bruciare tonnellate di carbone e le polveri non si sarebbero fermate neanche dai nuovi filtri – ha continuato il membro della commissione ambiente dell’Ordine dei Medici – l’accumulo di quelle sostanze tossiche continuava a destare una grande preoccupazione”.
“Abbiamo scelto delle patologie a priori, cardio vascolari, respiratorie e tumore del polmone (che ha una patogenesi molto lenta e non può essere utilizzata come conclusione) e abbiamo notato che il rischio aumenta in merito alla popolazione esposta, questa maggiore predisposizione ha evidenziato infatti una esposizione alla fascia dell’infanzia all’inquinamento”
Lo studio, come detto da Crosignani, è stato limitato alle patologie per le quali era presente a priori un’evidenza scientifica in ordine alla correlazione causale con l’inquinamento atmosferico e, per quanto quindi di interesse, con le emissioni di una centrale a carbone.
Era stata quindi analizzata l’anagrafe della zona costituendo un database di tutta l’area (con nome, cognome e residenza) campionando poi diversi soggetti avendo a disposizione le schede di dimissione ospedaliere non solo dei ricoverati Asl ma anche tra tutti i ricoverati nel comune residente.