Secondo le prime ipotesi, il rogo potrebbe essere stato innescato da un guasto elettrico a bordo di uno dei veicoli, propagandosi poi alle auto parcheggiate vicine. Un copione che, a molti savonesi, suona tristemente familiare.
Impossibile non tornare con la memoria al 2018, quando un altro incendio – di proporzioni ben più drammatiche – distrusse oltre 3.000 veicoli, soprattutto Maserati nuove di zecca, pronte a essere esportate in Medio Oriente. Allora si parlò di una mareggiata che avrebbe allagato due capannoni, provocando un corto circuito e la successiva esplosione delle batterie al litio delle auto.
Ma l’inquietudine non finisce qui. Solo pochi giorni prima di quell’incendio del 2018, un altro episodio aveva colpito la sede – appena costruita – dell’Autorità Portuale. Anche lì, un incendio la lasciò carbonizzata. La causa? Ufficialmente una sigaretta mal spenta.
E quella sede, ancora oggi, resta lì, visibile a chiunque passi in porto: un edificio moderno e annerito, che sembra raccontare da solo una storia di abbandono, distrazione o forse sottovalutazione dei rischi.
Tre incendi, tutti nello stesso comparto portuale, in pochi anni. E ogni volta una spiegazione tecnica, plausibile. Ma anche ogni volta lo stesso interrogativo: è davvero tutto sotto controllo?
Non si tratta solo di danni materiali – pure ingenti – o di assicurazioni da attivare. Qui c’è in gioco l’immagine stessa del porto, un’infrastruttura strategica per Savona, che non può permettersi di essere associata ciclicamente a episodi di incuria o scarsa prevenzione.
Che si tratti di sfortunate coincidenze, di impianti da rivedere o semplicemente di superficialità, il risultato è sempre lo stesso: il terminal auto finisce in fiamme, e con lui una parte di credibilità del sistema portuale savonese.
Forse è arrivato il momento di prendere sul serio questi segnali. Prima che il prossimo rogo faccia notizia, di nuovo.