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Analisi Piattaforma Maersk Un tema è rimasto in ombra. Ed è quello dell’utilità economica di una infrastruttura del genere in questo momento critico per lo shipping internazionale. Quando si è iniziato a parlare e progettare il nuovo porto lo sviluppo del vicino scalo genovese era bloccato, mentre i traffici mondiali correvano. Oggi è il contrario. E poi: la piattaforma è in grado veramente di far crescere l’economia del territorio? Sono domande la cui risposta non è scontata né chiara, ad oggi. Già nel 2012 secondo Gianluigi Aponte, numero uno di Msc, «oggi per l’Italia l’offerta è completa. Non avrebbe senso costruire nuove strutture». Una frase che sembra riferita più ai progetti di Napoli, dove Msc è terminalista, che Vado, il cui progetto in fondo è già molto avanzato. Ma tant’è i numeri sono problematici: Genova, una volta concluso i nuovi riempimenti, avrà una capacità di circa 4 milioni di container l’anno. Il doppio di quanto fa adesso. La Spezia ha in programma un nuovo riempimento che andrà al gruppo Contship. I due porti sfioreranno i sei milioni di teu di capacità. Serve Vado per andare, con Livorno, a otto? Le stime più accreditate indicano che, al 2020, l’Italia (escluso il transhipment) avrà una domanda di porti per nove milioni di teu. Ma stiamo parlando di tutta Italia, Adriatico compreso Secondo Carlo Merli, a guida di Apm Terminal Italia (Maersk), le navi da 14mila teu arriveranno a rappresentare un terzo del totale del mercato e saranno dirette soprattutto ai porti di trasbordo (transhipment), da cui poi le merci vengono caricate su altre navi, più piccole, per raggiungere le destinazioni finali. Ma i numeri di Containerisation International delineano uno scenario diverso: le navi oltre i 13.500 teu attualmente impiegate sono 31 (8 di Maersk, 17 di Msc) per un totale di circa 450.000 teu. Il 3% circa della flotta attualmente in servizio. E il portafoglio ordini di navi oltre 13.500 teu non è chiarissimo: Maersk ha una decina di giganti da 18mila teu. Sempre secondo CI le navi oltre 12.500 teu in ordine da qui al 2017 ammontano a 112 per circa 1.500.000 teu, cioè un decimo della flotta globale attuale. Non un terzo. L’altra incognita è proprio il modello di porto che la piattaforma andrebbe a costituire. Sarà un porto di destinazione o di transhipment? Nel secondo caso, va detto che i principali porti di transhipment italiani (Gioia Tauro , Taranto, Cagliari ) hanno segnato negli ultimi anni performance negative, di fronte alla concorrenza del Nord Africa, fatta anche con costi del lavoro molto bassi. una riflessione sulla mano d’opera è doverosa infatti Un operaio portuale in Italia costa 22,1€ — 3,1€ in Marocco – 1,9€ in Egitto . Un impiegato dello stesso settore in Italia costa 22,9€ — 7,1€ in Marocco–10,1€ in Egitto Conviene a uno scalo italiano entrare in questa battaglia, tanto più quando il terminal da costruire impatterà notevolmente su una costa che ha altre attività economiche legate al turismo? Si perderà da una parte e non è detto si guadagni dall’altra, perché le piattaforme container di transhipment sono a bassa intensità di lavoro. Gioia Tauro, con tre milioni di teu, non arriva a duemila lavoratori. E l’indotto è minimo. Inoltre: oggi alcune compagnie marittime il transhipment non lo fanno più. Vanno direttamente nei porti di destinazione, perché costa meno. È un nuovo modello rispetto a quello che ha fatto la fortuna di Gioia Tauro negli anni Novanta, ma si sta affermando sempre più come mostra il fatto che Genova cresce in questi mesi a tassi del 10% perché i global carrier concentrano qui i loro traffici per il Nord Italia. Se il mercato confermerà il trend, il rischio è trovarsi con una grande piattaforma per il transhipment a due passi da Genova, mezza vuota. Oppure, nel migliore dei casi, con un nuovo terminal “gemello” di quelli genovesi e spezzini in presenza di un mercato asfittico. Non è detto sia un affare. Ciccione Riccardo

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