Uno sciopero contro la popolazione.
Uno sciopero contro la salute.
Uno sciopero contro l’ambiente.
Uno sciopero contro i lavoratori.
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Davvero non si era mai visto rinnegare così apertamente l’evidenza tragica dei dati scientifici, tecnici, medici che informano sui gravissimi pericoli di una centrale a carbone. Ma soprattutto, lasciatemelo dire, non si era ancora visto tradire così insensibilmente la propria storia.
Certo, negli anni scorsi c’erano già stati diversi segnali di una certa confusione di ruoli, con sindacati che, ignorando ambiente e futuro, ambivano a surrogare l’indecisione degli industriali per concertare piani, armonizzare interventi, farfugliare accordi (come non ricordare il famigerato Protocollo Gran Pasticcio di Ferrania di cui menavano gran vanto ma che si è infine dimostrato per quello che era: una “bidonata” a danno dei lavoratori e dell’intera comunità, e perfino della proprietà; ora, ahimé, è chiaro a tutti), ma forse si poteva pensare ad amnesie temporanee, o a incidenti di percorso, o a innocenti errori di valutazione, per quanto gravi e ripetuti.
Sembra invece che ci siano sindacalisti che abbiano proprio scelto quel vecchio tipo di sviluppo abbandonato dai Paesi più moderni. Quello legato solo a grandi produzioni, grandi inquinamenti, grandi pericoli. Archeologi di una politica “grand’industriale” che ha dominato a lungo e della quale stiamo ancora contando vittime e danni. Che siano incapaci di comprendere l’evoluzione delle richieste di una società che cambia. E sembra perfino che l’inarrestabile precipitare verso la resa senza condizioni al capitale dei (pochi) lavoratori che rappresentano, sia addirittura voluto e sapientemente guidato.
Che davvero i sindacati vogliano tornare ad essere “cinghia di trasmissione”? Ma, avendo perso del tutto l’orientamento, ora non più del partito, bensì dell’impresa?
Giulio Save Osservatorio per la Qualità della Vita
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