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Orlando in esilio ligure volontario. Dimissioni “sofferte”, ma al Nazareno nessuno piange

Pare che l’aria salmastra della Liguria abbia effetti benefici sulla riflessione politica. Andrea Orlando, storico esponente del PD, ha deciso di rimanere in Regione e di lasciare il Parlamento. Un gesto di “grande responsabilità”, come ci tiene a precisare lui stesso, ma che in realtà a Roma è stato accolto con uno sbadiglio collettivo e, forse, qualche sorriso di sollievo.
Orlando, come ogni eroe consapevole del proprio destino, ha dichiarato: «In molti, a partire dalla segretaria nazionale, mi hanno chiesto di riflettere sull’opportunità di rimanere in Parlamento, per dare un contributo importante alla battaglia a livello nazionale. Riflessioni e ragionamenti che mi hanno impegnato le scorse settimane, ma non ho cambiato idea».
Dietro i proclami solenni, tuttavia, il retroscena è assai più terra terra: al Nazareno nessuno ha tentato di trattenerlo. Nemmeno Elly Schlein, che con olimpica indifferenza sta portando avanti il suo progetto di ripulitura dei vecchi corridoi del PD. Orlando, con la sua corrente Dems, rappresenta uno di quei “capetti” un po’ ingombranti che alla nuova segretaria non mancheranno più di tanto. Per convincerlo a rimanere il Liguria gli ha affidato un incarico sulle politiche industriali.
Del resto, Orlando ha scelto di rintanarsi in Liguria per guidare l’opposizione a Bucci e, soprattutto, organizzare il centrosinistra in vista delle prossime elezioni genovesi. Un nobile impegno, certo, ma difficile non vedere in questa scelta un tono vagamente “esiliante”. I maligni, infatti, sussurrano che la sua partenza dalla scena nazionale sia stata più spinta che accompagnata.
Fonti interne al PD confessano senza troppi giri di parole che la sua “partenza” non ha generato ondate di tristezza. Nessuno si è strappato i capelli o ha minacciato scioperi della fame. Anzi, il momento è stato visto come un’occasione per alleggerire la segreteria di un altro “pezzo d’antiquariato”. La Schlein tira dritto e mira a sbarazzarsi, con grande metodo, di capi e capetti: Orlando, pur rappresentando la corrente di sinistra del partito, è stato messo delicatamente alla porta. Un gesto pragmatico e, in fondo, molto armocromista.
La corrente Dems, con i suoi “reduci” di lusso (Peppe Provenzano, Antonio Misiani, Ugo Sposetti), continua a rappresentare una piccola enclave di potere, distinta e distante dai gruppettari della nuova generazione. Ma anche questa enclave, diciamolo, pare ormai più un club nostalgico che un motore pulsante.
Orlando, dal canto suo, ha preso sul serio il suo ruolo regionale. L’intenzione è quella di costruire una solida opposizione al centrodestra e di preparare il campo per le prossime elezioni. Un progetto ambizioso e, diciamolo, rischioso: in una Regione dove il centrosinistra fatica a vedere la luce.

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