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Maurizio Belpietro: “Autostrade indagata per il ponte ma i Benetton ci prendono in giro”

Rientrato dalle vacanze che ha trascorso sul suo yacht (un panfilo di quasi 50 metri battente bandiera inglese, of course), Gilberto Benetton ha deciso di occuparsi in prima persona del crollo del ponte Morandi costato la vita a 43 persone. Lo ha fatto il giorno in cui sono arrivati 20 avvisi di garanzia, con un’intervista al Corriere della Sera, il cui succo si riassume in una riga: la strage dev’ essere un monito per i prossimi anni. Sì, avete letto bene.

 

Nessuna scusa, nessuna ammissione che qualcosa non abbia funzionato al meglio, anche solo nelle ore immediatamente successive alla disgrazia, quando Autostrade, ossia la concessionaria del viadotto, diramava comunicati in cui la preoccupazione era rivolta non tanto ai morti, ma a precostituire una linea difensiva. No, tutto giusto, anche il ruolo del management oltre che quello degli azionisti. Dopo di che il disastro che ha sepolto intere famiglie è un avvertimento da tenere presente per il futuro. Un ammonimento da trasmettere a chi si occupa di sicurezza autostradale: occhio, vedete di non ricascarci.

E il silenzio? L’ assenza di dichiarazioni durata giorni, mentre tutta l’ Italia vibrava di indignazione per quello che era successo? Un segno di rispetto. Siamo stati zitti, non abbiamo fatto neppure le condoglianze ai parenti delle vittime, ma solo perché siamo rispettosi. Dalle nostre parti si usa così. Eh, già. In Veneto, a Ponzano, quando manca una persona, invece di far visita al defunto si fa finta di niente. È morto tizio? Zitto, porta rispetto. Se vedi un familiare dello scomparso, scantona: si sa mai che trovandotelo davanti ti scappi di farfugliare «condoglianze».

No, meglio il silenzio (del resto di non parlare lo consiglia anche papa Francesco, a proposito del memoriale Viganò sui vescovi pedofili). Gilberto, che è considerato il più furbo della famiglia, o per lo meno quello che ha fatto fruttare meglio i miliardi guadagnati con i maglioni, al Corriere ha spiegato che la loro holding alla fine ha parlato, ma lo ha fatto a voce bassa, «perché la discrezione fa parte della nostra cultura».

I Benetton, il cui fratello Luciano, essendo discreto, all’ alba dei sessant’ anni si fece ritrarre come mamma l’ ha fatto per la copertina di Panorama, sono così riservati che il giorno della tragedia e anche il giorno dopo hanno fatto festa.

Alla prima, cioè quando a Genova si scavava per tirar fuori i corpi, a Cortina «qualcuno ballava sui tavoli e la musica a tutto volume è andata avanti fino a tardi», come ha testimoniato chi c’ era, la seconda invece ha riunito una settantina di persone a cui sono stati offerti un menu di pesce e un po’ di vino. Insomma, festa sì, ma riservata, in ricordo di un fratello scomparso, mica degli scomparsi sotto il ponte Morandi.

Nell’ intervista, Gilberto Benetton però rivendica di aver fatto diramare 48 ore dopo un comunicato della holding con parole inequivocabili: «Forse non siamo stati sentiti». Eh già, forse c’ era la musica a tutto volume che ha coperto tutto. Il resto, come i commenti sull’ insensibilità manifestata nelle ore successive al crollo, sono solo «insinuazioni».

«Ero in vacanza, come credo la maggior parte degli italiani». Sì, ma la maggior parte degli italiani non ha a disposizione un aereo o un elicottero per rientrare dalle vacanze in caso di disgrazia, e soprattutto, al contrario di un signore che le vacanze le ha proseguite tra Cortina e il suo yacht, con la società Autostrade non ha guadagnato miliardi.

Il meglio del colloquio con il Corriere arriva però quando si arriva alle responsabilità. E lì si capisce bene che le tre settimane di silenzio sono servite soprattutto a parlare con gli avvocati. Già, perché se da un lato elogia la competenza e l’eccellenza dei vertici di Autostrade, dall’ altro Gilberto Benetton ci tiene a separare il destino degli azionisti da quello dei dirigenti, segnalando che i soci, cioè lui e i fratelli, «non si sono mai sostituiti ai management». Se sono stati commessi degli errori, la colpa non può dunque essere attribuita alla famiglia di Ponzano. Chiaro il concetto?

Insomma, nulla da rimproverarsi, anche perché loro, i Benetton, hanno investito un sacco di soldi in sicurezza. Fa niente che quel sacco di soldi non sia uscito dalle loro tasche, ma da quelle di chi ha pagato il pedaggio, mentre nelle loro tasche di quattrini ne siano entrati a palate, prova ne sia che Autostrade è una delle società che ha distribuito dividendi a pioggia.

Fa niente neppure che quando fu privatizzata, l’ azienda sia stata comprata a debito, cioè con i soldi delle banche, e poi questo debito sia stato scaricato tutto sui conti di Autostrade, liberando gli azionisti da qualsiasi peso, se non quello di incassare ogni anno la remunerazione dell’ investimento. No, questo è secondario. Perché come Gilberto ha spiegato a più riprese nell’ intervista, il compito di un imprenditore è la creazione di valore. E i Benetton di valore ne hanno creato.

«Avreste potuto fermarvi prima?», gli chiede Daniele Manca, il giornalista. Risposta: «Sì, avremmo potuto fermarci molto tempo fa, goderci la vita con quello che avevamo creato. Invece siamo ancora qui». Abbiamo capito: altro che metterli sul banco degli imputati, i Benetton li dobbiamo ringraziare. Perché non se la godono.

BENETTON, L’URLO DELL’ ARRICCHITO

(Estratti dall’articolo di Giorgio Meletti per il Fatto Quotidiano) – Dobbiamo essere onesti. Chiunque, se si stesse arricchendo da vent’ anni alla faccia di un’ intera nazione silenziosa e prona, comincerebbe a pensare di essere circondato da un popolo di scemi. E quindi non dobbiamo sorprenderci se Gilberto Benetton, in una lunga intervista con lacrimuccia artificiale al Corriere della Sera di ieri, da scemi ci ha preso e da idioti ci ha lasciato.

Con l’ arroganza di chi pensa di essere l’ unico intelligente tra 60 milioni di tonti, egli parla come se il ponte di Genova fosse venuto giù per una fatalità o per qualche causa misteriosa da indagare. E fa anche il severo: “Verrà fatto tutto ciò che è in nostro potere per favorire l’ accertamento della verità e delle responsabilità dell’ accaduto”.

Tutti i 60 milioni di presunti idioti pensano che la responsabilità sia della società Autostrade per l’ Italia, che incassa fior di pedaggi per garantire la manutenzione e la sicurezza e che, con tutta evidenza, non ha garantito né l’ una né l’ altra. Ma Benetton, l’ unico intelligente, ha un’ idea più profonda dei destini del cemento armato. (…)

E così, pensoso, il grande imprenditore ci spiega che “il disastro di Genova dev’ essere per noi come azionisti un monito perenne, a non abbassare mai la guardia e continuare a spingere il management, che ha la responsabilità della gestione (brigadiere verbalizzi, ndr), a fare sempre di più e di meglio, nell’ interesse di tutti, e ripeto tutti”. Il mondo va così. I viadotti crollano, si sa, e la famiglia Benetton spinge il management a fare sempre di più per arginare l’ inarrestabile e pernicioso fenomeno.

E noi, par di capire, dobbiamo ringraziarli. (…)

Benetton ammette che a 24 ore dalla carneficina la famiglia non ha voluto rinunciare alla tradizionale festa di Ferragosto a Cortina, però dice che è “un’ insinuazione”. Occuparsi dei propri ospiti e non dei 43 morti di Genova è dettato da un imperativo etnografico: “Sa, dalle nostre parti il silenzio è considerato segno di rispetto”. Egli viene forse da qualche plaga rurale, e i genovesi sono avvertiti, e anche le famiglie dei morti: Atlantia è una società quotata che straparla di crescita e internazionalizzazione, ma l’ azionista Benetton rivendica codici tribali.

Studia, mamma addolorata: se perdi un figlio nel crollo di un viadotto e il padrone della società che doveva garantire la sicurezza manco ti si fila perché ha la grigliata a Cortina, devi sapere che a Treviso esprimono così il cordoglio.

E agli ignoranti che pensano che ai Benetton le autostrade siano state quasi regalate e poi trasformate da tutti i governi degli ultimi 20 anni in un bancomat per gli azionisti, lo stratega Gilberto risponde irridente che Romano Prodi aveva disperato bisogno di vendere e nessuno le voleva, e allora loro si sono sacrificati “offrendo una cifra che allora fu giudicata spropositata”. Lo ha detto: “Avremmo potuto fermarci molto tempo fa, goderci la vita”. E invece no, si sono sacrificati, e la vita se la sono goduta i sudditi. (…)

Maurizio Belpietro  da La verità  dago spia

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