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Marta Vincenzi

Meglio lasciar  stare Ipazia

 Da due anni ci occupiamo della filosofa alessandrina , prima con incontri e conversazioni sul film di Alejandro Amenabar  ‘Agorà’, poi con le presentazioni del nostro libro ‘Ricomporre Ipazia’ ( ed Tribale Globale, 2010).  

Siamo felici quando il nome di Ipazia viene rievocato, purchè avvenga in contesti in cui si parla veramente  di grandezza e di eccellenza femminile. Purtroppo di frequente non è così; il nome della filosofa viene anche utilizzato come richiamo per dubbie operazioni politico-culturali se non addirittura turistico -commerciali.

E Genova nell’ultimo anno non è stata avara di esempi in tal senso. 

L’ultima chiamata in causa da parte di Marta Vincenzi, pur causata da comprensibile stress emotivo, ci è però apparsa esageratamente fuori luogo e inappropriata.

 Il dolore della sindaca per la ‘lapidazione’subita dal proprio partito, per quanto grande, non può essere ricondotto a vicende raffrontabili all’eccidio di Ipazia non tanto e non solo per il differente calibro delle due personalità, e neppure perché le metodologie dei ‘compagni’ non sono cruente come quelle dei seguaci di Cirillo, ma essenzialmente perché il messaggio politico  che le  esperienze delle due donne trasmettono è diametralmente opposto, come pure le ragioni che ne hanno determinato la fine.  

Ipazia ha rappresentato nel suo tempo un esempio di autorità scientifica, magistrale, ma anche politica e morale, riconosciuta da donne e uomini; non ricopriva, né rivendicava, alcune carica ufficiale eppure era consultata dai potenti ed ascoltata nei consessi pubblici. Chi vuole la sua morte teme soprattutto  il suo prestigio, la sua saggezza, ne invidia il  carisma ed il seguito; non avverte certamente in lei una contendente per il potere o per il governo della città.

La sindaca, invece, sfodera un linguaggio femminista per difendere la sua aspirazione a conservare il potere, senza interrogarsi sul deficit di autorità e la crisi di credibilità che evidentemente erano ormai associate alla sua figura, nonostante la lunga teoria di incarichi prestigiosi rivestiti. Chi ha voluto la sua ‘morte’, usando, con riprovevole cinismo, proprio una donna come arma, non è stato mosso dall’invidia per il suo prestigio ed autorevolezza ma dalla contesa per la poltrona. 

Marta Vincenzi ha ora l’occasione di superare il dolore e mettere profitto l’impasse, facendo una cosa veramente utile al femminismo: proporsi come testimonianza vivente del limite e dell’illusorietà dell’emancipazione per  le  donne attraverso il potere.

                          

                                                                                              Eredibibliotecadonne

 

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