L’eredità dei movimenti sulle comunità locali

 
L’eredità dei movimenti sulle comunità locali
Angela Fedi dall’incontro a Vado Ligure:  Quale futuro? Spunti di riflessione tra rassegnazione e impegno
Mi è stato chiesto di provare a riflettere insieme su quale eredità possono lasciare le mobilitazioni nelle comunità locali in cui avvengono. Intanto occorre precisare che parliamo di eredità (pensando non solo ad un lascito da parte di qualcosa o qualcuno che non c’è più, ma anche a qualcosa che ci pone un vincolo di continuità, come un’eredità culturale) ma potevamo parlare anche di effetti delle mobilitazioni o dei suoi “precipitati” in senso chimico. Occorre….

…anche specificare che focalizzeremo la nostra attenzione su movimenti a difesa del territorio contro opere sgradite (evitando però l’acronimo Nimby – Not In My Back Yard, connotato negativamente perché basato su assunti di ignoranza, irrazionalità ed egoismo, in favore dell’etichetta Lulu – Locally Unwanted Land Uses, più neutra).

Infine, le comunità locali saranno qui intese come sistemi complessi e dinamici di persone, aspetti materiali e simbolici che vivono in relazioni con contesti più ampi, caratterizzati da risorse, poteri, stereotipi, conflitti, alleanze…

Pur non potendo immaginare delle connessioni causali tra le mobilitazioni e i cambiamenti delle comunità locali, è certo che laddove tali mobilitazioni siano consistenti, esse producono ripercussioni sulla comunità, che qui proveremo ad identificare seguendo tre traiettorie:

1.    l’empowerment

2.    lo sviluppo di comunità

3.    rischi e costi.

1. Possiamo definire l’empowerment come la capacità di generare alternative, di produrre o impedire cambiamenti, basata sulla capacità di esercitare controllo, sulla consapevolezza critica, sulla partecipazione. Se è ormai un dato ricorrente in letteratura che i movimenti generano empowerment sia a livello individuale tra i suoi membri sia a livello del gruppo, altrettanto interessante è la possibilità che essi producano cambiamenti negli stessi termini nelle comunità locali. È infatti piuttosto verosimile che il senso di controllo e di efficacia che si può sperimentare nella mobilitazione si diffonda anche nei contesti locali in cui esse si attuano così come l’aumento della coesione, della solidarietà e lo sviluppo di una identità collettiva che può trascendere il movimento per far riscoprire la comunità tutta.

È dunque possibile che la comunità, e non solo le persone mobilitate, sperimentino il potere che caratterizza l’empowerment, che non si definisce come quello classico come un “potere su” ma piuttosto come un “potere di”, e un “potere con”.

2. Si ha “sviluppo di comunità” quando le comunità locali sperimentano fiducia e motivazione a partecipare alla propria autorganizzazione, quando ci troviamo di fronte a comunità che attivamente e responsabilmente si organizzano sulla base delle proprie risorse e dei principi democratici, quando utilizzano la democrazia partecipativa per collocare il processo decisionale a livello locale, quando le comunità diventano competenti, cioè sviluppano capacità di lettura critica su se stesse per riconoscere i propri bisogni e mobilitare le risorse (umane, economiche e politiche) per soddisfarli. Le mobilitazioni impattanti possono estendere l’utilizzo della partecipazione, la sottolineatura della cittadinanza e delle democrazia ai contesti locali, possono diffondere nella comunità il senso di appartenenza, la motivazione all’impegno, la responsabilità nei confronti del gruppo, l’entusiasmo e la solidarietà che scaturiscono dallo sperimentare obiettivi comuni… Insomma possono aumentare il cosiddetto capitale sociale delle comunità. Inoltre, una delle prime azioni delle mobilitazioni riguarda la diffusione delle informazioni che può generare competenza e conoscenza anche tra le persone non direttamente mobilitate.

3. A fronte di questi potenziali effetti definibili in termini positivi, le mobilitazioni comportano costi e rischi sia per i singoli partecipanti sia per i rapporti tra persone e gruppi all’interno delle comunità.

Essi sono sia in termini materiali (es. il tempo messo a disposizione della lotta, le risorse economiche, la possibilità di procurarsi ferite in uno scontro…) sia di ordine simbolico-relazionale, dato che l’implicarsi in una battaglia locale produce etichettamenti reciproci, esclusione sociale, ha ripercussioni sulle reti sociali delle persone. Inoltre, a livello della comunità, le mobilitazioni possono cambiare la geografia interna, alterando i confini interni ed esterni e le alleanze precedenti la lotta, generando nuovi conflitti, quando ad esempio una categoria sociale percepita in maniera neutrale prima della minaccia costituita dall’opera indesiderata diventa un nuovo outgroup.

Infine, collocabile tra i rischi della mobilitazione locale vi è anche il dilemma che spesso attraversa i movimenti riguardante la loro possibile istituzionalizzazione. La domanda, che non ha una risposta univoca, è quella che riguarda la necessità di arrivare dentro “la stanza dei bottoni” o se invece i movimenti debbano mantenere la loro natura “extraistituzionale” restando sempre in posizione esterna, antagonista ai luoghi di potere istituzionale.

In conclusione, mi pare che i movimenti possano promuovere, non senza difficoltà e ripercussioni anche negative, la costruzione pubblica dei problemi sociali, della loro definizione, degli attori coinvolti e da coinvolgere, delle risorse da impegnare e delle soluzioni possibili.

Promuovere la riappropriazione di questioni pubbliche da parte della comunità mi pare un cambiamento controcorrente, che pone al centro il “bene comune” come valore e che conferisce al termine “eredità” una componente di responsabilità da cui mi pare praticamente ed eticamente difficile esimersi.

(per approfondimenti si veda Fedi A., Mannarini T. (a cura di) “Oltre il Nimby. La dimensione psico-sociale della protesta contro le opere sgradite”, FrancoAngeli editore, Milano, 2008)

ELENA FEDI ricercatrice in Psicologia Sociale presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino, dove insegna Psicologia dei gruppi e dei contesti psicosociali.

Tra i suoi principali interessi di ricerca, le dinamiche gruppali, la partecipazione e lo sviluppo di comunità.

È autrice di numerose pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali, autrice e curatrice di diversi volumi tra cui “Lutto, protesta, democrazia. Per una lettura psicosociale di Madres de Plaza de Mayo, H.I.J.O.S. e Herman@s” (2008, Liguori) e “Oltre il Nimby. La dimensione psicosociale della protesta contro le grandi opere” (2008, FrancoAngeli) sui noti movimenti delle madri dei desaparecidos argentini e sul movimento NoTav della Val di Susa.

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