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L’antipolitica

NON POSSO CHE ESSERE D’ACCORDO

SU QUANTO SCRITTO DA GIANNI PARDO
Può darsi che abbiano ragione ma sbagliano riguardo alle cause del suo crescente successo. Si parla molto, infatti, delle formazioni che basano la loro azione sul populismo e la demagogia senza vedere che l’incremento delle loro percentuali è la conseguenza, non la causa dell’antipolitica.
In Italia i demagoghi sono sempre stati costantemente attivi e non hanno certo atteso il governo di Mario Monti per approfittare dell’irritazione della gente. Dunque non bisogna chiedersi che cosa fà e dice Beppe Grillo, ma piuttosto perché oggi quello che fà e dice finisce con l’essere preso sul serio.
Non è lo stimolo, che è aumentato, è la sensibilità allo stimolo.
Altri dànno la colpa del fenomeno ai partiti politici, sommersi dagli scandali e dalle accuse dei magistrati. La gente infatti è disgustata. E tuttavia forse sbaglia il bersaglio.
È evidente che attualmente le Procure attaccano a testa bassa tutta l’amministrazione pubblica. Quella magistratura che denuncia ad ogni piè sospinto il tentativo della sua delegittimazione e l’attacco alla sua indipendenza è come se tentasse di delegittimare la politica.
Si sa, gli amministratori della Cosa Pubblica, a tutti i livelli, sono tutt’altro che stinchi di santo, ma è anche vero che, sottoposti ad un esame approfondito, in molti finiremmo nei guai.
Uno non ha pagato l’Iva sulla riparazione dell’idraulico, un altro ha fatto una banale telefonata per raccomandare qualcuno, e molti direbbero che siamo “ladri e delinquenti come gli altri”. Nel caso della Lega c’è addirittura il rischio che in tutto lo scandalo non ci sia nessun reato, perché – almeno secondo la legge attuale – i partiti possono disporre come meglio preferiscono del loro “rimborso”.
L’azione dei demagoghi e i duri attacchi della magistratura non bastano dunque a spiegare l’antipolitica.
La ragione vera potrebbe essere più profonda. Al tempo di “Mani Pulite” le denunce della magistratura fecero prevedere non la fine della politica ma la sua moralizzazione. Un nuovo e diverso attaccamento ad essa piuttosto che una più grande disaffezione.
Oggi invece il disgusto per i grandi partiti nasce da una profonda delusione, riassunta in una fotografia: Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini, in piedi, l’uno accanto all’altro, come un trio concorde e affiatato che deve portare a termine un compito comune.
Per parecchio tempo i tre segretari hanno cercato di evitare questa rappresentazione e si sono incontrati di nascosto, di notte, come congiurati. Si rendevano conto che dimostrandosi capaci di rapporti civili di collaborazione danneggiavano l’immagine del loro partito. Poi, col tempo, hanno capito che non potevano nascondere l’evidenza e si sono rassegnati alla foto di gruppo. Magari con un Monti benedicente che aveva l’aria di dire: “Questi sono i miei gioielli”.
Essi hanno accettato la novità, ma gli italiani non l’hanno accettata.
Nella loro inveterata faziosità, prima incanalavano l’irritazione nel sostegno al loro partito, quello dei buoni, che non poteva fare le cose giuste perché ne era impedito dal partito avversario, quello dei cattivi. E lo amavano perché, se non riusciva a governare bene l’Italia, la colpa non era sua. Ma nel momento in cui i due grandi partiti si alleano, cade l’alibi.
Un partito come il Pd, che ha sempre detto peste e corna del partito al governo, se all’occasione collabora con esso si squalifica. “Ma allora combattevano Berlusconi per finta?”
E per i votanti del Pdl nasce il problema: “Ma allora Berlusconi ci ingannava, presentandoci i comunisti come gente dedita soltanto a sfasciare il Paese?”
Insomma, nel momento in cui ABC collaborano, magari per caricarci tutti di una montagna di tasse ed imposte, fanno crollare lo schema tradizionale. I tre sembrano credere che si possa fare politica non “contro qualcuno”, ma “per qualcosa”.
E gli italiani sono scandalizzati. Pur di essere “contro qualcuno”, e se possibile “contro tutto”, sognano di votare per un Movimento, come quello di Beppe Grillo, il cui simbolo potrebbe anche essere un candelotto di dinamite sotto Montecitorio.
L’antipolitica non è tanto un rifiuto della politica quanto la rivendicazione della sua versione italiana: quella fatta di insulti e di calunnie, di rissa e di demagogia, di fanatismo e di divisione. Un mondo dove impera la mitologia dell’odio.
Con l’antipolitica non vediamo un fenomeno nuovo, vediamo il ritorno alla politica come l’intende il popolo.
E questo è molto triste: per il popolo prima ancora che per i partiti”.

Franco Costantino

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