Nella politica italiana, c’è una regola non scritta che sembra valere più di ogni codice etico: davanti alla morte, tutti diventano buoni. È una dinamica che si ripete puntualmente. La figura di un politico, magari controversa e divisiva in vita, si trasforma improvvisamente in un esempio di virtù appena cala il sipario della vita. Il lutto diventa una sorta di spugna morale, capace di cancellare peccati, scandali e polemiche. Ma perché succede?
Non importa se il politico in questione sia stato un riformatore illuminato o un personaggio avvolto da ombre e dubbi; al momento della dipartita, il linguaggio cambia. “Ha servito la sua comunità con passione”, “Una figura di riferimento per tutti noi”, “Ci mancheranno il suo impegno e la sua visione”: queste sono solo alcune delle frasi di circostanza che rimbalzano nei comunicati stampa e sui social. Le critiche, anche quelle più fondate, vengono sospese, come se ricordare gli errori fosse un peccato di lesa maestà nei confronti di chi non c’è più.
Il meccanismo è semplice: chi parla male di un defunto rischia di passare per insensibile, ingrato o, peggio ancora, cinico. Questo timore, unito alla tendenza della politica a difendere i propri membri come una casta, porta a una narrazione che sfiora spesso l’agiografia. Si passa dal giudizio alla santificazione in poche ore.
Eppure, è innegabile che ogni figura pubblica lasci un’eredità complessa: ci sono luci e ombre, scelte giuste e decisioni discutibili. Ma nel momento del lutto, la bilancia si sbilancia sempre da una parte sola. I successi vengono enfatizzati, mentre i fallimenti evaporano come rugiada al sole.
Questa tendenza a riscrivere la storia nel nome del rispetto rischia di creare una memoria collettiva distorta. La verità è che il rispetto non implica dimenticare. Anzi, riconoscere anche le ombre di una carriera politica può essere un modo per onorare davvero una figura pubblica, trattandola da essere umano e non da icona intoccabile.
Prendiamo ad esempio alcune figure del passato: amministratori locali o politici nazionali che, in vita, sono stati oggetto di inchieste, polemiche e dibattiti accesi. Dopo la morte, tutto si trasforma. La corruzione diventa “ambizione mal interpretata”, il nepotismo diventa “dedizione alla famiglia”, la miopia politica diventa “visione che non è stata capita”. Ma è davvero così che vogliamo ricordare chi ci ha governato?
Il lutto non dovrebbe essere un’occasione per rifuggire il giudizio critico, ma per esercitarlo con sobrietà e rispetto. Onorare una persona significa raccontarla nella sua interezza, senza cedere alla tentazione di edulcorare o, peggio, di censurare.
Forse, il modo migliore per ricordare un politico è quello di considerare tutto ciò che ha lasciato dietro di sé: il bene che ha fatto, certo, ma anche gli errori, affinché possano servire da lezione per il futuro. Perché la vera memoria non ha bisogno di santi, ma di storie oneste. E, chissà, forse un giorno impareremo a ricordare senza cancellare.