La provincia di Savona nel collasso: quarant’anni per distruggere tutto, missione compiuta

Ci sono voluti quarant’anni, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Con pazienza, costanza e una certa genialità distruttiva, siamo riusciti a demolire sistematicamente ogni infrastruttura, ogni servizio pubblico, ogni barlume di progettualità collettiva. Non è stato facile: ci voleva impegno, una classe dirigente assortita e trasversale, e soprattutto la convinzione incrollabile che il futuro fosse roba da evitare.

Le strade? Non funzionano.
Le autostrade? Peggio: tra cantieri eterni, pedaggi alle stelle e gallerie più vecchie della Repubblica, viaggiare è diventato un atto di fede.

I ponti? Qualcuno è crollato.
Le gallerie? Molte sono chiuse, per pericolo cedimento.
E l’Aurelia Bis? Un monumento all’incompiuto, un mostro di cemento che ha inghiottito milioni su milioni per non esistere mai davvero. Una cicatrice che attraversa la città senza condurre da nessuna parte.

E poi c’è il capolavoro: la gestione dei rifiuti.
Gli impianti pubblici? Smantellati.
Quelli nuovi? Vietati.
Le aziende pubbliche? Imbrigliate, fermate, neutralizzate. Non sia mai che disturbino i fragili equilibri politico-affaristici regionali.
Nel frattempo, i privati festeggiano: incassano, gestiscono, e fanno profitti mentre il sistema crolla.

Nel 2021 perfino la Corte dei Conti si era svegliata dal torpore: aveva lanciato un monito. Parlava chiaro. Denunciava criticità evidenti.
Nessuno ha ascoltato.
Passato tutto in cavalleria.
Ma se un povero impiegato sbaglia a scrivere una data, scattano le sanzioni. Perché lo zelo amministrativo colpisce sempre in basso: più sei debole, più sei colpevole.

Nel frattempo, le ferrovie languono, i treni regionali sono vecchi, sporchi, lenti. Il trasporto pubblico è un disincentivo a muoversi.
La sanità pubblica è in coma, tenuta in piedi solo dalla dedizione eroica di chi ci lavora, mentre le liste d’attesa si allungano e i reparti chiudono nel silenzio generale.

L’imprenditoria vera è sparita. Non c’è spazio per chi crea valore, occupazione, visione. Troppo complicato. Troppo rischioso.
In compenso pullulano gli speculatori da quattro palanche – e, quando serve, anche la criminalità organizzata – che lucrano sulle macerie, si infilano nei buchi normativi e trasformano ogni crisi in un’occasione per far cassa, senza lasciare nulla al territorio.

Tutto è ormai fuori controllo, abbandonato, dimenticato. Dove lo Stato non arriva, regna il disordine, e l’indifferenza è la norma.

Ecco Savona. Un laboratorio del disastro annunciato, una provincia che lentamente si spegne mentre tutti fanno finta di non vedere.
Il miracolo è riuscito: ci abbiamo messo quarant’anni, ma l’obiettivo era chiaro. Distruggere tutto, e far finta che sia colpa del caso.

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