La realtà è ben diversa da quanto ci raccontano. Secondo il Fatto Quotidiano, le pensioni da lavoro, al netto delle componenti assistenziali e delle tasse, sono già in attivo per miliardi. Non solo: il sistema previdenziale italiano è in equilibrio nel medio periodo, come confermano tutte le principali istituzioni internazionali. In sostanza, il sistema non solo si sostiene, ma contribuisce significativamente a finanziare lo Stato.
Questa discrepanza solleva dubbi sulle reali motivazioni dietro l’innalzamento dell’età pensionabile. Perché si continua a fare leva sul bilancio statale come giustificazione, quando il sistema è in avanzo? Viene spontaneo chiedersi se non si tratti di una scelta politica che colpisce i lavoratori più che un’effettiva necessità economica.
La questione si fa ancora più grottesca se si considera che molti dei promotori di queste riforme godono di pensioni agevolate e anticipate. Chi oggi invoca sacrifici “per salvare il Paese” spesso è lo stesso che beneficia di trattamenti privilegiati.
L’ulteriore aumento dell’età pensionabile aggraverà le disuguaglianze sociali, penalizzando in particolare coloro che svolgono lavori usuranti o hanno carriere lavorative discontinue. L’obiettivo dichiarato è garantire la sostenibilità del sistema, ma a quale prezzo? E soprattutto, per chi? Le generazioni future rischiano di vedere la pensione come un miraggio, mentre il peso del rigore grava sempre più sulle loro spalle.
È evidente che una riflessione sulla sostenibilità del sistema pensionistico è necessaria, ma deve partire da dati reali e da una visione equa. Serve un approccio che tuteli i lavoratori più vulnerabili e che non trasformi la pensione in un diritto sempre più lontano, sacrificato sull’altare di un rigore “a senso unico”.
La sfida, quindi, è costruire un sistema previdenziale equo e sostenibile, che non tradisca le aspettative di chi ha lavorato una vita intera. Fino a quando si continuerà a chiedere sacrifici senza offrire soluzioni credibili, il dibattito sull’età pensionabile resterà una ferita aperta nel tessuto sociale del Paese.