I sindacati confederali ricordano il cinquantenario dello statuto dei lavoratori ossia la legge 20 maggio 1970, n. 300, ma sembrano dimenticare il percorso fatto per conquistare i diritti fondamentali dei lavoratori.
Per arrivare a questa concessione da parte delle istituzioni e della politica furono necessarie le mobilitazioni di milioni di lavoratori durante il cosiddetto autunno caldo del 1969.
Politica ed istituzioni, evidentemente non sempre dalla parte dei lavoratori, oltre al padronato, che da un mero calcolo di costi e benefici, ritennero che per porre fine a quelle lotte che sicuramente portarono danno all’economia italiana in crescita fu necessario concedere qualcosa alle masse di lavoratori in lotta per la difesa dei propri diritti.
Oggi i nostri sindacati ormai trasformati in organi burocratici, con metà degli iscritti formati da pensionati ed in continua emorragia di iscritti attivi, pensano che la difesa di quei diritti fondamentali possa avvenire comprando un necrologio a pagina intera sui giornali del padronato, con qualche comparsata ai talk show, o comunicato stampa di rito.
Con tali forme di lotta a difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori oggi politica ed istituzioni, evidentemente non sempre dalla parte dei lavoratori, oltre al padronato, da un mero calcolo di costi e benefici ritengono che ai lavoratori si possa concedere la legge Fornero o il Job Act.
Ad un ex dirigente della CGIL, strenuo difensore del renziano Job Act, basta poi commuoversi in diretta TV per aver promosso una sanatoria temporanea per i braccianti agricoli che lavorano in nero, nell’imbarazzo assistenzialista sudista ed ipocrita dei 5 Stelle che evidentemente quel lavoro nero disdicono a parole ma meno nei fatti. Lavoro nero grazie al quale gli italiani possono, a buon prezzo, imbandire di frutta, verdura e cibarie varie le proprie tavole.