Timido turista (Tom Hanks) proveniente da un piccolo Stato eurocaucasico, arriva nell’aeroporto di New York con l’intenzione di recarsi poi presso un famoso suonatore di Jazz per chiederne l’autografo. Il suo passaporto però non ottiene dagli uffici preposti, il timbro verde per l’uscita in città. Perché?
All’atto dell’atterraggio il suo paese di provenienza non esisteva più. Una guerra civile aveva portato al rovesciamento dello Stato. Le autorità dell’aeroporto, in stretto collegamento col proprio ministero degli esteri, restano in attesa del riconoscimento, da parte degli Stati Uniti, del nuovo governo eurocaucasico che avrebbe dovuto instaurarsi nel paese.
A causa di una situazione internazionale eurocaucasica che rimarrà molto confusa per un lungo tempo, il turista senza patria, rimane all’interno dell’aeroporto per circa 9 mesi.
Nonostante la forzata permanenza in quel luogo, il turista caucasico non si annoierà affatto, anzi il suo caso susciterà con i più abituali frequentatori dell’aeroporto, amicizie solidali e anche una breve storia d’amore.
L’esperienza tutto sommato sarà intensa, si creerà una vera e propria community, molto attiva che gli farà prendere coscienza della limitatezza dei propri orizzonti sociali e culturali.
Il messaggio del regista Steven Spielberg è chiaro: la restrizione della libertà può costringere in certi casi, chi ne è colpito, a rivolgersi più sinceramente al prossimo, magari formando una domanda di rapporto umano inedita, che lo porterà a costruire altro, cioè qualcosa che si intreccia più da vicino col il dolore e le fatiche per vivere del prossimo, da ciò potranno scaturire nuove emozioni e passioni, quest’ultime corroborate da formazioni dell’inconscio sensibili alle nuove esperienze in gioco.
Film che brilla per originalità e professionalità, senza mai scadere nel patetismo, finendo per risultare per certi aspetti addirittura pedagogico.