Los Angeles, torrida estate del 1992. Bill (Michael Douglas), ingegnere progettista di missili USA, appena licenziato in modo selvaggio, rimane bloccato con l’auto in città in un ingorgo che promette di durare ore. Dopo aver urlato numerose imprecazioni contro le istituzioni addette al traffico, Bill abbandona il mezzo. L’uomo rimane del tutto indifferente alle conseguenze del suo gesto per sé e per gli altri.
Bill, che tra l’altro è anche in procinto di divorziare, ritorna a casa a piedi, ma sua moglie nei contatti telefonici che avvengono lungo il percorso gli fa capire che non lo vuole vedere.
Bill compie una camminata che sarà molto lunga e che si trasforma, a causa del suo stato mentale dominato da una irascibilità incontrollata, (per di più esasperata dal comportamento verso di lui della gente che incontra), in un’odissea intessuta di lacrime e sangue.
Contemporaneamente al suo itinerario divenuto esplosivo, un sergente al suo ultimo giorno di servizio, viene regolarmente informato, attraverso le denunce di alcuni cittadini, delle stranezze a sfondo violento verso commercianti, emarginati, lavoratori di strada, neonazisti nostalgici, che Bill compie nel suo angosciato attraversamento della città.
Pellicola ricca di tensioni che nascono per lo più dal veder compiere nella narrativa filmica ciò che nella vita reale indigna e inibisce; il film è attraversato da una psicologia del non riadattamento sociale che riguarda il piccolo borghese perdente: aspetto che è di fatto un’autentica miniera, inesauribile, di idee preziose per ottenere uno spettacolo cinematografico di grande successo.
Regia impeccabile, con scene di suspense da antologia, soprattutto nel tragico finale. Ritmo sostenuto da una mostruosa bravura nel comporre e montare.