Un bravo skipper (Cluzet) è in gara nella celebre regata in solitaria intorno al globo, la barca è tra le migliori, e l’esperienza allo skipper non manca, le speranze di vincere non sono infondate.
Durante una sosta, un ragazzino seriamente malato fuggito dalla Mauritania per cercare disperatamente medici nel mondo in grado di guarirlo, riesce a salire a bordo da clandestino. Scoperto durante la ripartenza della gara, il ragazzino manda su tutte le furie lo skipper a cui non resta, per evitare la squalifica, che nasconderlo.
Strada facendo il capitano della barca si affezionerà sempre di più al ragazzino a tal punto da perdere via via un certo interesse per la gara.
La barca giungerà prima lo stesso, grazie alla bravura dello skipper, ma, per onestà, il capitano si farà squalificare rinunciando al trofeo. La gioia per una vita salvata e la soddisfazione per l’autentica amicizia nata col ragazzino, saranno la sua vera vittoria, approvata anche dalla famiglia, apparsa dapprima reticente.
Il film. Storia di una gara, di una barca, di un capitano in un primo momento tenacemente competitivo poi sempre più umanistico per via di eventi sopraggiunti. Il film è una perla rara, con protagonista l’etica: è un monito umano verso quell’occidente che lascia morire in mare gli immigrati: povere anime che scappano dalla guerra e dalle torture.
Film non idealista, perché espone tutti i contrasti che il diverso può oggettivamente creare in un contesto altro, ma che fa capire come sia possibile credere ancora in una umanità diversa, magari racchiusa tra le pieghe dell’inconscio e quindi non immediatamente percepibile.