Gli esattori delle autostrade, comunemente chiamati casellanti, del primo tronco della direzione di Genova di Autostrade per l’Italia (Aspi), hanno deciso di rompere il silenzio e portare all’attenzione pubblica le preoccupazioni per il futuro della loro professione e delle condizioni lavorative. Riuniti in un gruppo informale, hanno inviato una lettera aperta al professor Stefano Zamagni, noto economista e promotore dell’economia civile, per sollevare il dibattito sulla direzione intrapresa dall’azienda.
Nella lettera, il gruppo di lavoratori denuncia una deriva definita “tecno-feudale”, avviata dopo la destituzione del gruppo Atlantia e la successiva gestione dell’azienda da parte di una cordata composta da CDP (Cassa Depositi e Prestiti), Blackstone e Macquarie. Secondo i lavoratori, l’attuale piano industriale 2025-2029, recentemente discusso in azienda, prevede un drastico ridimensionamento del personale. La sostituzione del tradizionale sistema di pedaggio con il “video pedaggio” potrebbe rendere inutili circa l’80% degli attuali esattori, lasciandone solo 300 sui 1.100 attuali, una riduzione drastica che sarebbe attuata attraverso pensionamenti naturali.
Le critiche si concentrano anche sui contratti proposti ai nuovi stagionali, definiti “working poors”. Secondo i casellanti, queste condizioni lavorative precarie sono il risultato di una politica aziendale che punta a esternalizzare servizi e a inserire i lavoratori in società satellite non aderenti al Contratto Collettivo Nazionale del settore autostrade e trafori, compromettendo così diritti conquistati in anni di lotte sindacali.
Il gruppo denuncia una sorta di “revisionismo storico” nei confronti dei diritti dei lavoratori, aggravato dall’incapacità dei sindacati di contrastare efficacemente queste trasformazioni. Le azioni di sciopero, ad esempio, sarebbero rese inefficaci da normative interne che impediscono di interrompere il servizio, compromettendo la capacità dei lavoratori di difendere i propri diritti.
I lavoratori chiedono che Autostrade per l’Italia, quale concessionaria di un asset statale in regime monopolistico, diventi un modello di economia civile, capace di generare ricchezza e sviluppo per il bene comune. Denunciano che le attuali politiche aziendali sembrano invece privilegiare un ristretto gruppo di azionisti e speculatori, relegando i lavoratori al ruolo di meri costi da ridurre.
L’appello è rivolto alle istituzioni, dalla Corte Costituzionale al Ministero del Lavoro, affinché venga garantito il rispetto dei principi etici e del ruolo sociale che un’azienda come Aspi dovrebbe avere. Si sollecita inoltre un’indagine sull’operato dei sindacati e sulle scelte strategiche della Cassa Depositi e Prestiti.
Un futuro incerto, ma non senza speranza
I casellanti concludono la loro lettera con una riflessione ispirata al poeta Tagore, sottolineando la determinazione a non cedere allo sconforto e a continuare la loro battaglia per un futuro migliore. “In questo tramonto, stiamo cercando di non piangere per non permettere alle lacrime di offuscarci il diritto a un futuro in prosperità”, scrivono, richiamando l’attenzione su una vicenda che, se non affrontata, potrebbe rappresentare un ulteriore colpo ai diritti dei lavoratori in Italia.