Biodigestore Ferrania
Un paio di considerazioni logiche sul progetto preliminare, molto preliminare, dell’impianto per il trattamento dei rifiuti presentato da Ferrania Ecologia il primo agosto… |
Considerazioni logiche più che tecniche perché la presentazione pubblica a cui ho assistito era davvero povera di dati e di riferimenti, di storia e di precedenti del sistema, di referenze e di confronti; insomma, tecnicamente sterilizzata, resa quasi inattaccabile per mancanza di contenuto, con il chiaro intento di rassicurare più che di spiegare. E allora posso dire solo questo: 1) La digestione anaerobica del rifiuto organico è certamente uno dei processi di trattamento più interessanti sia dal punto di vista dell’efficacia che da quello dell’impatto ambientale; io stesso, nelle osservazioni che con l’Osservatorio per la Qualità della Vita presentammo (inascoltati!) al Piano Provinciale, suggerii di prenderla in seria considerazione come processo base. Più o meno 25 anni fa il processo aveva avuto anche un periodo di gloria con una diffusione piuttosto larga, soprattutto in Francia. Le difficoltà che ne avevano poi determinato la temporanea scomparsa dal mercato dell’impiantistica erano probabilmente dovute al fatto che allora non si faceva una seria raccolta differenziata e la FORSU da trattare la si doveva ottenere, per buona parte, con una separazione, successiva alla raccolta, dell’organico dall’indifferenziato. Come si può ben immaginare, con risultati qualitativi molto scarsi. Tali comunque da compromettere il rendimento tecnico ed economico di tutto il sistema. 2) Pur essendo un buon processo, anche questo presenta dei rischi. Ad esempio: in caso di malfunzionamento (sempre possibile anche in un buon impianto) del biodigestore con perdita/fuoriuscita di gas, ci si potrebbe trovare in condizioni ambientali ben peggiori di quelle dell’impianto aerobico di Fossano (citato, mi sembra, come esempio negativo dal relatore) e più simili a quelle che alcuni anni fa avevano reso quasi invivibili i dintorni del digestore anaerobico dei fanghi dell’impianto acque di Savona. E sono rischi pressoché proporzionali alla complicazione e alla dimensione dell’impianto. 3) Per quanto riguarda la potenzialità, non mi tornano i conti sull’unico dato offerto, le 40.000-60.000 ton/a. Se il totale dei RSU della Provincia è di circa 200.000 t/a, le 40.000 corrisponderebbero al totale teorico di umido (mediamente sul 20%) che, dunque, richiederebbe un’inverosimile raccolta differenziata del 100%. Già con l’obiettivo difficilissimo di una RD del 65% su tutta la provincia la potenzialità massima dell’impianto sarebbe attorno alle 25.000 t/a. Se poi stiamo ai dati attuali con una RD inferiore al 30%, la potenzialità accettabile non dovrebbe superare le 12.000 t/a. Ci vogliamo mettere un po’ di verde? Mettiamocelo. Ma ancora siamo nei dintorni della 15.000 t/a. Insomma, sappiamo tutti che è una buona tecnologia ma, come tutte le tecnologie, deve essere applicata con ragionevolezza e rispetto dei suoi limiti, se non si vogliono correre troppi rischi. È uno di quei tanti casi che rientrano nella tipologia del: “sì vabbé, ma…”. Credo che, indipendentemente da altre considerazioni (per esempio quelle di opportunità) si debbano porre alcune condizioni minime alla scelta di questo sistema per non ripetere errori già fatti da altri (1); per ridurre i rischi connessi (2); per evitare impatti sproporzionati, inutilmente sproporzionati (3). Tra le condizioni indicherei almeno queste: -se ne può riparlare solo dopo aver raggiunto una quota di RD degli urbani almeno non inferiore a quella di legge (65% dal 2012), anziché mettere una sorta di sovrapprezzo di smaltimento da eliminare solo a quota raggiunta (una sorta di garanzia al contrario) come sembrava suggerire il relatore -potenzialità dell’impianto non superiore a 15.000 ton/a. C’è sempre tempo (San Francisco, non Calcutta, ci ha messo 15 anni a passare da una RD del 30 al 65%!) per ampliare, dato che possono essere impianti modulari -trattamento riservato esclusivamente alla Frazione Organica del RSU e al verde prodotto localmente -per evitare disastrosi connubi volti a preparare facili/lucrose scorciatoie di trattamento (biomasse, inceneritori, ecc…), dichiarare da subito l’incompatibilità della presenza di altri impianti di trattamento aggiuntivi o complementari -controllo continuo pubblico dei principali parametri tecnici, dei flussi di materia e della qualità del biogas prodotto. Mi riservo di presentare osservazioni più approfondite al progetto definitivo, se ci sarà. Giulio Save |