Considerazioni sulla Lezione 16, Psicanalisi e psichiatria, di Sigmund Freud, Università di Vienna, ottobre 1916 A cura di Biagio Giordano |
Freud nell’ottobre del 1916 dà inizio al secondo anno dei corsi di psicanalisi presso l’università di Vienna, le lezioni che si accinge a svolgere appartengono all’ultima serie delle tre con cui era diviso il biennio accademico accordatogli ed ha come argomento La teoria generale delle nevrosi, forse la parte più difficile da un punto di vista espositivo. Il suo lavoro dura ormai, senza soste, da circa 25 anni. Nelle lezioni dell’anno precedente Freud aveva trattato, con tutte le sfumature del caso, alcuni teoremi legati al sogno e agli atti mancati, argomenti che oggi possono apparire ai più, in un’epoca che pare essere dominata dal cognitivismo, marginali rispetto ai fondamentali della teoria psicanalitica così come oggi appare nelle sue diverse e un po’ audaci post rielaborazioni, ma che in realtà allora gettavano già solide fondamenta per meglio capire il funzionamento dell’inconscio su cui poggerà l’intero edificio della originaria teoria sulle nevrosi. Il sogno e gli atti mancati hanno infatti diversi punti in comune con i meccanismi inconsci dei fenomeni nevrotici, un aspetto questo di unità logica che il maestro ritiene molto importante per la psicanalisi tanto da sostenerlo coerentemente e con grande rigore fino alla fine, avvalendosi di esempi-dimostrazioni di sempre più ampia apertura umanistica. La particolarità, di una tra le tante difficoltà dell’insegnamento della terza serie di lezioni a Vienna, sta nel fatto che, a differenza del sogno e degli atti mancati, i fenomeni nevrotici non possono essere verificati di persona dagli allievi, perché sono disagi che fanno parte di strutture già fortemente sintomatiche, spesso precipitate nella nevrosi, di cui gli allievi universitari di Freud non hanno esperienza diretta. Freud dunque si premura di informare gli studenti, che l’unico accesso ai fenomeni psichici nevrotici, potranno averlo attraverso le sue parole. Il maestro viennese non vuole conquistare gli allievi proponendo una psicanalisi ad effetto, cioè simile ad operazioni culturali di marketing, egli sa che in quel biennio universitario tutti gli occhi dei medici scettici sono puntati su di lui, è in gioco gran parte della credibilità etica, teorica, terapeutica della psicanalisi, una disciplina umanistica particolare che ha per oggetto l’inconscio e che si avvale di studi mai pubblicati prima con tale ampiezza documentativa, un lavoro di grande interesse che riesce per la prima volta a mettere in relazione i sintomi nevrotici con le logiche inconsce legate alle vicende dei desideri sessuali di ogni tappa evolutiva. Freud avverte che la sua ricerca è vicina ad ulteriori scoperte terapeutiche e conoscitive. Il maestro sembra animato da un fervore di ricerca a stento contenuto, non nasconde a se stesso di avere, attraverso la sua psicanalisi, una spinta ambiziosa in grado di portarlo ad un ulteriore sviluppo dimostrativo della materia, ponendola a contatto con i metodi più scientifici, nonostante la psicanalisi sia una disciplina nata al di fuori dalle istituzioni mediche e spesso addirittura da esse osteggiata. Questo spiega come nella lezione 16 Freud stia molto attento a non apparire arrogante o fanatico trasmettitore della sua scoperta, addirittura a volte sembra abbozzare forme di sfumato auto umorismo che sconfinano in punte di ironia verso se stesso. Il maestro rinuncia a lavorare in un modo serioso, non vuol cadere, più o meno inconsapevolmente, nello scenario dell’insegnamento impregnato di carisma: sarebbe qualcosa che rilascerebbe qua e là negli allievi sensazioni suggestionanti, suscitando facili entusiasmi e convincimenti svianti che diverrebbero facili preda da parte dei media di ideologizzazioni della clinica psicanalitica. Freud mostra nell’insegnamento una prudenza sagace, funzionale a un intonazione espositiva calibrata che richiama per certi aspetti lo stile tipico della scienza. Tra le righe la lezione assume anche un sapore un po’ didattico-politico, lascia intravedere, via via che procede, un vero e proprio metodo per diffondere efficacemente la psicanalisi. Come non vedere quanto il lavoro di insegnamento di Freud sia impregnato di riferimenti verso altri saperi, e come proprio ciò risulti una risorsa qualcosa che mettendo in moto confronti sempre più precisi con la storia della cultura consente di poter abbozzare con maggior chiarezza la struttura teorica della psicanalisi. Freud nelle lezioni si limita solo a dare suggerimenti e scuotere pregiudizi. Il maestro viennese sa che non può pretendere dai suoi allievi un giudizio su fenomeni oggetto di studio di cui non possono avere esperienza, li invita pertanto ad astenersi tanto dal credere quanto dal respingere, raccomandandoli sopratutto di ascoltare e lasciare agire su di loro tutto ciò che apprenderanno dalle lezioni. Egli sta imparando molto dalla sua esperienza di analista, le cose vanno avanti, e proprio per questo vuol mantenere l’insegnamento su un piano preliminare, preparatorio ad una complessità imminente dai diversi orizzonti. Freud vuole evitare malintesi che portino fuori rotta chi proseguirà negli studi psicanalitici. Nonostante egli sia da tempo approdato ad alcuni punti teorici fermi, in buona parte dimostrabili attraverso le annotazioni di ascolto nelle sedute, prevale in lui la necessità di dare un ordine propedeutico a futuri approfondimenti, formulando diversi aspetti della teoria psicanalitica in una forma ipotetica che sfiora la congettura. Freud spiega ai suoi allievi come dai suoi pazienti non pretenda che vengano in cura già convinti della validità della psicanalisi o addirittura dichiarandosi apertamente suoi seguaci, cosa che li renderebbe sospetti, ma auspica che essi si comportino in modo tale da avvertire nei loro discorsi un benevolo scetticismo, ritenendo quest’ultimo, nei frangenti analitici cruciali, l’ atteggiamento più logico. Il maestro viennese vuol far crescere, senza forzare, la concezione psicanalitica negli allievi accanto a quella psichiatrica più in voga, auspicando che queste due concezioni possano a un certo punto influenzarsi a vicenda, commisurarsi e portare a certe conclusioni o a nuove scelte di impegno: magari verso maggiori approfondimenti sia clinici che culturali. La psicanalisi infatti, come emerge chiaramente dalle lezioni, non è per Freud un sistema speculativo, trattasi di un materiale empirico inteso nella forma di un’espressione diretta dell’osservazione o di una rielaborazione di essa e questo non può che portare a un certo punto verso un bivio cruciale, dove è necessario fare una scelta: o prendere la strada della conferma e dello sviluppo dei teoremi psicanalitici o quella del loro abbandono. Freud nella lezione denuncia come gli oppositori della psicanalisi rifuggano per lo più dal prendere in considerazione le vere origini delle affermazioni di questa nuova disciplina, essi la accusano infatti di muoversi con principi puramente soggettivi per cui non può che conseguirne uno scivolamento verso considerazioni deprecabili come questa: “chiunque può opporle ciò che meglio gli aggrada”. Ciò è dovuto secondo Freud al fatto che chi è medico entra così poco in contatto con i nevrotici, ascolta così distrattamente ciò che dicono da precludersi ogni possibilità di ricavare qualcosa di valido dalle osservazioni. Freud rifugge dalle polemiche, ritiene che la contesa non sia la madre di tutte le cose, come sostiene la sofistica greca (Freud da giovane all’università frequentava, oltre che medicina, anche corsi di filosofia con il professor Franz Brentano), che secondo lui ha il difetto di sopravalutare la dialettica (si riferisce alla sua polemica con Adler e Jung?). All’epoca la polemica scientifica secondo Freud era in prevalenza sterile, e condotta sovente in modo troppo personale. Freud nella lezione 16 per rafforzare la spiegazione delle manifestazioni della nevrosi si riallaccia a fenomeni già trattati, usando il metodo dell’analogia e del contrasto. Per esporre il senso di un’azione sintomatica che va distinta dal sintomo vero e proprio che ha una struttura più profonda, Freud riporta un fatto che accadeva quotidianamente nel suo studio. Il maestro ha fatto raddoppiare la porta d’ingresso nella camera dove si svolgono le sedute, rivestendole poi tutte e due di feltro per impedire che chi è in sala d’attesa senta ciò che si dice in seduta, ma anche per rendere più improbabile che chi, proveniente dalla sala d’attesa, entri nello studio lasciando aperto l’ingresso. Questa negligenza prima si verificava con una certa frequenza, ma esclusivamente quando il paziente veniva a trovarsi solo nella stanza d’attesa. Egli entrando nello studio lasciava dietro di sé la stanza vuota, nell’altro caso, quando erano presenti persone in sala, il paziente che entrava si comportava diversamente, chiudeva la porta, ossia comprendeva che era nel suo interesse non venir ascoltato mentre parlava con il medico. Secondo Freud questa disattenzione del paziente è determinata da qualcosa che non è casuale né privo di senso, e neppure è mai irrilevante, perché come si vedrà in seguito essa illumina un aspetto specifico del rapporto fra colui che entra e il medico. Questo tipo di paziente secondo Freud appartiene alla grande massa di coloro che esigono autorità terrena, che vogliono venir abbagliati, intimoriti. Forse addirittura, in questo caso, il tipo ha chiesto alla segreteria a quale ora poteva venire per essere ricevuto più facilmente, pensando ad una abituale presenza affollata di gente in cerca di aiuto da Freud, che all’epoca cominciava a essere famoso, e quando entrando trovava la sala d’attesa vuota e arredata modestamente rimaneva alquanto deluso. Il paziente deluso deve far quindi scontare al medico l’eccessivo e superfluo rispetto di cui intendeva farlo oggetto e allora omette di chiudere la porta come se volesse dire “A ma qui non c’è nessuno per tutto il tempo che starò qui”, se Freud non si mostrasse sgarbato per il gesto del paziente questi probabilmente si comporterebbe nella seduta in modo irrispettoso, vanificando l’utilità dell’ascolto analitico. Freud sottolinea con questo esempio come la piccola azione sintomatica non sia casuale ma abbia un senso e un’intenzione che fanno parte di un contesto psichico ampiamente dimostrabile ma che rimane sconosciuta alla coscienza di chi la compie. Nessun paziente di quelli che lasciavano la porta aperta ammetterebbe secondo Freud che con quel gesto volevano dimostrare la disistima al maestro psicanalista. Freud passa poi ad illustrare agli allievi un sintomo molto interessante per la psicanalisi, studiato su una malata affetta da delirio di gelosia. Il maestro ha preso in cura la suocera di un giovane ufficiale venuto in licenza, il quale lamenta che pur essendo in famiglia tutti in felici condizioni la donna affligge la vita a sé e ai suoi con un’idea assurda e ossessiva. La signora ha 53 anni ed è di natura cordiale e semplice, felicemente sposata con il marito che dirige una grande fabbrica. Essa loda il marito per numerosi aspetti. Hanno due figli e il loro matrimonio d’amore dura da 30 anni. Un anno prima la donna prestò fede a una lettera anonima che incolpava il suo eccellente marito di avere una relazione amorosa con una ragazza, da allora la sua felicità appare distrutta. Essa aveva una cameriera con cui confidava anche cose intime, questa ragazza ne perseguitava un’altra con una inimicizia astiosa perché, pur essendo di classe uguale alla sua, essa aveva raggiunto nella vita una migliore condizione: sia di prestigio simbolico sia economico. La cameriera quindi era disposta a dire tutto il male possibile della sua amica perché rosa dalla invidia, da una stizza compulsiva accentuata dal fatto che quella ragazza era una sua vecchia compagna di scuola. Un giorno la matura signora discorrendo con la cameriera a proposito di un vecchio signore che era stato loro ospite, sposato, il quale intratteneva una relazione con un’altra donna, le venne da dire: “La cosa più terribile per me sarebbe di venire a sapere che anche il mio caro marito ha una relazione”. Il giorno seguente ricevette una lettera anonima che le dava la notizia del tradimento del marito. Essa quindi dedusse che la lettera fosse opera della cameriera cattiva soprattutto perché, quale amante del marito, la lettera indicava proprio quella signorina che la cameriera perseguitava con il suo odio. Il marito respinse l’accusa di adulterio ridendo. La cameriera venne licenziata. Ma nonostante l’assurdità dell’accusa della lettera che aveva ormai trovato ai suoi occhi una spiegazione plausibile, la donna rimaneva tormentata come se tutto quello che riportava fosse vero. La paziente poté essere tranquillizzata sia dal medico di famiglia sia da quello della fabbrica di suo marito, con buoni risultati, tanto da non credere più ufficialmente al contenuto della lettera, ma mai per lungo tempo. La donna dissimulava il suo vero stato d’animo, in realtà non aveva mai cessato di prestar fede all’accusa della lettera anonima. Freud a questo punto pone agli allievi un interessante interrogativo. Qual è la posizione dello psichiatra di fronte a queste due condizioni sintomatiche? Dell’azione sintomatica riguardante le porte lasciate aperte nella sala d’attesa, dirà che trattasi di un evento casuale che non merita alcune attenzione psicologica, mentre nel secondo caso dove c’è di mezzo un sintomo collegato a una intensa sofferenza soggettiva che minaccia anche la convivenza della famiglia, lo psichiatra cercherà di caratterizzare il sintomo con una qualità essenziale, in questo caso “idea delirante di gelosia”, il cui contenuto secondo lo psichiatra è da ritenersi fantasioso, clinico, perché legato alla lettera anonima accusatrice che non ha trovato alcun riscontro nella realtà. La paziente non ha alcun’altra ragione, all’infuori della lettera anonima, per credere che il suo coniuge, affettuoso e fedele, abbia una relazione, essa sa che lo scritto non prova nulla, ed è in grado di spiegarsene in modo soddisfacente la provenienza, non dovrebbe essere gelosa, nonostante ciò soffre ugualmente. Idee di questo genere, che sono inaccessibili ad argomenti logici e risultano lontane dalla realtà, vengono chiamate dalla psicanalisi idee deliranti. Precisamente la buona signora soffre di un delirio di gelosia. Freud si chiede, se un’idea delirante non può essere eliminata mettendola in rapporto con la realtà, essa allora non trarrà origine da essa. Ma allora essa da dove proviene? E perché il contenuto dell’idea delirante è proprio di gelosia? E in quali persone si formano le idee deliranti e in particolare i deliri di gelosia? E qui che per Freud si vorrebbe sapere qualcosa dallo psichiatra, ed è qui, dice, che egli ci pianta in asso. Lo psichiatra risponderà solo a uno dei tre interrogativi: “ Le idee deliranti sorgono in quelle persone nella cui famiglia si sono verificati ripetutamente disturbi psichici di questo o di altro tipo”. La proclamata asserzione della predominanza dell’influsso ereditario sarà da intendersi anche in senso negativo, nel senso che non importa quali esperienze abbiano toccato quest’anima, destinata a produrre prima o poi un delirio? Sembrerebbe di si. Freud pensa che lo psichiatra non conosce alcuna strada che faccia progredire un caso come questo. Freud si chiede, la psicoanalisi può fare di più? Certo, anche in un caso difficile come questo può far compiere un passo avanti nella spiegazione anche se per quanto riguarda la terapia del delirio nulla può essere previsto, a meno che non si vada molto più avanti nell’elaborazione del caso prolungando in numero delle sedute analitiche. Il maestro pone all’attenzione degli allievi un dettaglio poco appariscente, la paziente ha di fatto provocato la lettera anonima, che sostiene la sua idea delirante, avendo dichiarato il giorno prima, di fronte a quella intrigante, che se suo marito avesse avuto una relazione amorosa con una giovane, questa sarebbe stata per lei la maggiore delle disgrazie, in questo modo essa ha suggerito alla cameriera l’idea di spedirle la lettera anonima, l’idea delirante è stata già stata presente prima nell’ammalata in forma di timore (o di desiderio). Aggiungete inoltre ciò che due sole sedute di analisi hanno apportato ancora in termini di ulteriori piccoli indizi. La paziente dopo la narrazione della sua storia in analisi si rifiutò di comunicare ulteriori pensieri, idee, ricordi. Affermava di sentirsi guarita e abbandonò quindi le sedute. Questo secondo Freud lo disse per resistenza e per timore di proseguire l’analisi. In quelle due sedute tuttavia si era lasciata sfuggire alcune osservazioni che permettevano una interpretazione: gettando viva luce sulla genesi di quel delirio. Era lei ad essersi innamorata di un giovane: del proprio genero, di questo innamoramento proibito non sapeva quasi nulla, perché dato il rapporto di parentela l’amore si mascherava di affetto. Tuttavia esso dall’inconscio esercitò una forte pressione. Un qualche rimedio l’inconscio doveva trovarlo. Il rimedio lo offrì un gioco del meccanismo di spostamento il quale è tipico nel delirio di gelosia. “Se non fosse solo lei, donna anziana, a essersi innamorata di un uomo giovane, ma se anche suo marito anziano intrattenesse una relazione amorosa con una ragazza, allora la sua coscienza si sarebbe sgravata dal peso dell’infedeltà. La fantasia dell’infedeltà del marito era quindi un impianto refrigerante della sua bruciante ferita. Il proprio amore non le era divenuto cosciente, ma l’immagine riflessa di quest’ultimo che le arrecava tali vantaggi divenne cosciente in forma ossessiva e delirante. Tutti gli argomenti contrari non potevano avere effetto alcuno, poiché si dirigevano soltanto contro l’immagine riflessa, non contro quella originale, che aveva ceduto all’altra la propria intensità e si trovava inviolabilmente nascosta nell’inconscio. L’idea delirante allora non è più qualcosa di assurdo, è dotata di senso, rientra nel contesto di un’esperienza vissuta con intensità affettiva dall’ammalata. E poi essa è indispensabile come reazione a un processo psichico inconscio di cui siamo venuti a conoscenza dice Freud attraverso altri indizi e deve proprio a questa connessione il suo carattere delirante, la sua refrattarietà agli attacchi della logica e della realtà. E ancora, il fatto che il delirio sia proprio di gelosia è determinato in modo inequivocabile dalle esperienze che l’ammalata ha vissuto prima della malattia. Il caso per Freud appare comunque ancora fitto di ulteriori problemi. Perché ad esempio questa signora che ha una vita coniugale difficile cade in preda ad una infatuazione per il genero, e perché il sollievo, che sarebbe stato possibile anche in altri modi, ha luogo in forma di un tale rispecchiamento, di una proiezione del proprio stato sul marito? Non pensate, dice Freud, che queste siano domande oziose, si ha già a disposizione parecchio materiale per una possibile risposta, la signora si trova nell’età critica che porta a una crescita dei bisogni sessuali femminili. Il suo consorte non è più in possesso da tempo di quella efficienza sessuale di cui la ben conservata signora avrebbe bisogno. O ancora non è irrilevante che sia proprio il giovane marito di una figlia a essere divenuto l’oggetto dell’innamoramento, il forte legame erotico che ogni madre ha verso la figlia e che in ultima analisi risale alla costituzione sessuale della madre trova spesso in questa trasformazione il suo naturale proseguimento. Fin dai tempi più remoti, dice Freud, il rapporto suocera-genero è stato considerato particolarmente scabroso, nei primitivi ha dato luogo addirittura a potenti tabù. Il rapporto infatti eccede la civile convivenza. Quali di questi tre fattori abbia agito nel nostro caso, se due di essi o tutti e tre, non sono in grado di dirvi dice Freud, perché l’analisi si interruppe dopo due sedute soltanto. Freud conclude dicendo che la psichiatria non impiega i mezzi tecnici della psicanalisi, non mette nulla in relazione con il contenuto dell’idea delirante, essa rimanda all’ereditarietà fornendoci un’etiologia genericissima. Ma nonostante ciò essa non si pone in contraddizione con la psicanalisi. Il fattore ereditario non contraddice l’importanza dell’esperienza vissuta, ma questi due elementi possono combinarsi nel modo più efficacie. Dunque per Freud sono solo gli psichiatri che si oppongono alla psicanalisi, le due discipline non presentano infatti incompatibilità di alcun genere. Per Freud è prevedibile che in tempi non lontani la psichiatria scientificamente approfondita sarà possibile solo con la conoscenza dei processi psichici più profondi, inconsci, trattati dalla psicanalisi. Il Maestro si pone anche questo interrogativo: “ La terapia psichiatrica non è in grado di incidere sulle idee deliranti, può farlo la psicanalisi?” La sua risposta è no. Sostiene Freud: “La psicanalisi è impotente quanto ogni altra terapia. La psicanalisi può comprendere quanto avvenuto nel malato ma non è in grado di farglielo comprendere, come in questo caso esposto dove la malata ha interrotto l’analisi. Nonostante ciò noi dobbiamo cercare di andare avanti senza respingere casi di questo genere, senza preoccuparci di un utile immediato, alla fine ogni pezzettino di conoscenza si trasformerà in potere, anche terapeutico”. Freud termina la lezione con un certo ottimismo, dicendo che, anche se la psicanalisi si dimostrasse inefficacie per ogni altra forma di malattia nervosa e psichica come per le idee deliranti, tuttavia essa sarebbe giustificata quale strumento insostituibile della ricerca scientifica. Esistono per Freud vasti gruppi di disturbi nervosi nei quali il passaggio da una miglior comprensione al potere terapeutico è effettivamente avvenuto con successi che secondo lui nulla hanno da invidiare ad altri risultati ottenuti nell’ambito della medicina interna. E’ sorprendente come si possa considerare tuttora valida questa distinzione che Freud fa tra psicanalisi e psichiatria, proprio alla luce delle nuove scoperte scientifiche e terapeutiche farmacologiche di cui la psichiatria si è lasciata profondamente permeare. La distinzione oggi probabilmente sta sempre nei modi di rapportarsi con l’inconscio. Nella psichiatria, in particolare nei casi in cui è prevista la cura con la parola, si rischia fortemente di rimanere, nonostante i buoni propositi dello psichiatra, in un ambito chiuso dell’inconscio, perché le vie associative dei ricordi, aperte con la parola del paziente, sono pervase qua e là dai ricordi di copertura che, se non elaborati con i noti strumenti psicanalitici, indubbiamente molto più raffinati, rischiano di fuorviare la spiegazione del caso. Non riconoscere i ricordi di copertura renderebbe estremamente difficile il percorso analitico allontanandolo irrimediabilmente dalla comprensione dei meccanismi del sintomo. La psicanalisi, grazie alla rigorosa teoria meta psicologica di Freud, può avere qualche chance in più. La nozione di inconscio con cui si muove consente percorsi di maggiore articolazione semantica: con effetti immaginifici che possono dare al delirio una portata autobiografica più ampia che affonda le radici tra i diversi strati dell’inconscio non comunicanti tra di loro. L’analisi potrebbe consentire un percorso di maggior comprensione logica fra le fratture non dialoganti del rimosso. |