Prima parte Seconda parte Terza parte. Quarta parte
Quinta parte
La bellezza è la priorità assoluta, ma occorre precisarne meglio il significato.
Innanzitutto chiarendo che l’impegno a ridare bellezza ad ogni porzione di paese – via, piazza, angolo, vicolo, scala, muro, lampione, giardino, panchina, parapetto, aiuola, ecc – creerà in brevissimo tempo il substrato per inserire opere più importanti. Ma, intanto, cambierà il paese. Faccio un esempio, così si capirà meglio: lungo via Mulino a vento, sulla destra a salire, si sviluppa un alto e lungo muro di nudo cemento, bruttissimo; anche a fasciarlo di pietra rimarrebbe troppo impattante. Perché, allora, non coprirlo con piante di buganvillea a colori diversi? Sarebbe uno spettacolo! Visibile anche dalla ferrovia e dai treni in transito. Rimanendo in zona, perché non coprire il parcheggio dietro la stazione con un pergolato di glicine? Potete ben immaginare l’effetto complessivo, con una spesa assolutamente irrisoria. Banalità? Mica tanto; se non si è mai fatto è perché non vediamo più il brutto e quindi non promuoviamo il bello.
Ecco il primo impegno dei partecipanti alla lista: scoprire i possibili abbellimenti, che non sono solo di coprire con fiori colorati (e magari profumati) ma di sostituire ringhiere di ferro arrugginito, bruttissimo anche da nuovo, con staccionate in legno o frangisole in cotto, cemento con mattoni, asfalto dei viottoli con ciottolato e mattoni rossi e mille altre iniziative. Pensateci un attimo e molti di voi lettori, certamente, cominceranno a individuarne alcuni esempi, anche vicino a casa propria (non c’è niente di male, anzi!) e, oltre a capire che affidata a molte persone, l’iniziativa può diventare importante, capiranno che può davvero costituire il primo importante cambiamento.
Occorre, però, tenere presente che la bellezza deve appartenere ad un insieme, oltre che ai particolari, e quindi deve essere funzionale al raggiungimento di un risultato coerente ed equilibrato, non disordinato, poco gradevole e comunque inferiore alle attese.
L’insieme, cioè il paese, non può prescindere dall’impronta che gli si vuol dare. Fino agli anni ‘50 l’abitato di Celle era il risultato di un equilibrato accostamento/sovrapposizione di stili ben marcati, sia architettonici che dell’arredo urbano, significativi dei corrispondenti periodi storici, sapientemente fusi fra loro.
Quasi tutto ciò che è stato realizzato dopo è privo di qualsiasi caratterizzazione, anonimo e sostanzialmente brutto. E purtroppo è tanto. Chi non riesce a vederci il brutto ha smarrito completamente la capacità di valutare i valori estetici.
Si deve decidere, quindi, quale deve essere infine la caratterizzazione del paese.
Ecco, allora, il primo dei tre verbi-chiave:
CARATTERIZZARE.
Tutto deve concorrere a caratterizzare. Si può proporre una prima caratterizzazione complessiva: il paese deve essere ROMANTICO.
Se si decide in tal senso tutto deve essere romantico: i lampioni a barattolo sono tutt’altro che romantici! La plastica degli arredi non è romantica. L’eccesso di luce non è romantico. La musica techno non è romantica. Il silenzio totale non è romantico. I cancelli a pantografo dei negozi non sono romantici. Sono romantici i lampioni, il ferro battuto, il legno, i mattoni, la ceramica, la panchine in stile, i gerani al balcone, le fontane, le rose rampicanti, i portoni con il battente.
È romantica la vecchia passeggiata con il San Giorgio (poi Alborada) e il piano bar, o lo Chalet con l’orchestrina. Non è romantica la passeggiata con niente.
È romantica l’edilizia del borgo marinaro, anche se non antica, come lo sono quella dei nuclei frazionali e delle case contadine o delle ville liberty; non lo è quella dei palazzoni squadrati.
Caratterizzare vuol dire anche un’altra cosa: “Celle è il paese dove ….”. Provate a mettere parole al posto dei puntini. Parole che abbiano senso anche a Milano, Roma, Napoli, Parigi, Düsseldorf, cioè che non siano una comunissima banalità. Io non saprei cosa metterci. Potrei tentare con “dove è nato Papa Sisto IV” ma non credo che avrebbe successo: cosa volete che se ne facciano a Parigi se non ce ne facciamo niente nemmeno noi! Non abbiamo qualcosa che ci distingua in modo significativo. Eppure ci vuole, è irrinunciabile se vogliamo risollevarci. Può essere un fatto naturale, può essere un evento, può essere una tradizione, può essere qualsiasi cosa bella o interessante purché sia unica.
Le Cinque terre sono conosciute in tutto il mondo per la loro unicità paesaggistica complessiva, Borgio Verezzi per il suo teatro estivo all’aperto (invenzione straordinaria), Albisola può esserlo per la ceramica e i suoi grandi artisti (unica per la sua importante partecipazione a movimenti artistici), Perugia per Umbria jazz estate, Carrù per la Fiera del Bue grasso, Laigueglia per il Trofeo ciclistico (non per essere giunto 4° nel concorso Il Borgo dei Borghi), Toirano per le grotte, Alba per il vino e il tartufo.
Qui ci vuole inventiva e, magari, un po’ di cultura del luogo.
Tralascio la prima, non perché non abbia proposte ma perché molti altri possono averne: verrà il momento di metterle a confronto. La seconda mi dice che Celle ha avuto una caratteristica che adesso avrebbe molto valore per la sua visibilità e per il suo effetto – chi l’ha vista una volta non la dimentica più. Il toponimo “Buffoü” significa “che sbuffa”. Presso la punta del Buffoü vi è una grotta a mare che sottopassa la via Aurelia e che aveva un camino verticale che sbucava al di là della strada, a sinistra verso Varazze. Quando vi era mareggiata dal foro del camino usciva, ad ogni ondata, un potente getto d’acqua, che si innalzava molti metri sopra l’Aurelia. Dopo la guerra il foro fu chiuso perché incompatibile con il traffico stradale. Perché non ricostruirlo con la bocca dalla parte del mare, incrementandone la pressione per farlo innalzare verso il largo almeno una trentina di metri?
Luigi Bertoldi
(Continua)