“Borghetto ricorda i 50 anni della tragedia dell’ALBATROS”
La cerimonia in ricordo delle 7 vittime del crollo del palazzo In occasione della giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, che viene celebrata a livello nazionale, l’Amministrazione Comunale di Borghetto Santo Spirito, che 50 anni fa pagò un grosso tributo in termini di vite umane, ha programmato una cerimonia in ricordo delle Vittime del crollo del condominio “Albatros”, di cui ricorre quest’anno il 50° anniversario del tragico evento avvenuto il 12/05/1965…
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La cerimonia si svolgerà domenica 18 Ottobre 2015 con la celebrazione presso la Parrocchia di San Matteo della S.Messa in ricordo dei lavoratori defunti. Successivamente alle ore 11.00 nella Piazza Caduti sul Lavoro, dove sorgeva il palazzo crollato e sulla quale è stato realizzato il monumento a ricordo delle vittime, vi sarà la deposizione della corona, l’intervento del Sindaco ed il discorso del rappresentante dell’ ANMIL – Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro – che ha collaborato all’organizzazione dell’iniziativa. “Un disastro di gravi proporzioni” lo definì il corrispondente de “IL SECOLO XIX”, Giannetto Beniscelli, nell’articolo pubblicato il 13 Maggio 1965. Poteva essere una tragedia di maggiori dimensioni se una strana fatalità non avesse ritardato il rientro delle restanti decine di operai impegnati giornalmente in quel cantiere. In quel tragico pomeriggio l’Albatros si spezzò e cadde pesantemente al suolo, trascinando con sé sette vite umane. Una costruzione imponente, quasi assurda, accanto alle modeste case della periferia del primo nucleo borghettino, che non era sfuggito alla regola del massimo sfruttamento delle aree. Era ancora avvolto dalle incastellature di legno e di tubi di ferro e costituiva uno dei molti fabbricati che era stato realizzato, nel levante cittadino, in barba al più elementare rispetto per il paesaggio divenuto un ottimo terreno di conquista per gli speculatori. Erano, purtroppo, gli anni della fungaia di cemento, di mega costruzioni anche al confine dei corsi d’acqua e sulla sabbia. |
Il 12 maggio 1965 è una data che rimane impressa nella storia della nostra comunità. Alle ore 13,40 l’ala sud-ovest del condominio, la cui costruzione era in fase di ultimazione, crollava su se stessa mentre un buon numero di operai aveva appena iniziato il turno pomeridiano di lavoro. Delle dodici persone sepolte sotto una montagna di macerie solo cinque si salvarono mentre gli altri sette persero la vita: Luigi Cagnino (18 anni), Giovanni Vassallo (27 anni), Giuseppe Andreacchio (31 anni), Giuseppe Sciascia (45 anni), Andrea Sasia (48 anni), Vincenzo Bonfiglio (34 anni), Angelo Mendola (18 anni), vittime del lavoro.
Nessun grido di soccorso, nessun richiamo o lamento giungeva dai restidi quello che era un’imponente struttura; la fredda quiete succedette al rovente tuonare dei pilastri che si spezzavano, dei blocchi di cemento che precipitavano, delle strutture imponenti del palazzo che s’accartocciavano. Padri, madri, fratelli e sorelle delle vittime, annichilite dall’angoscia e sorrette dalla fievole speranza di ritrovare ancora vivi i loro cari erano arrivati dal Sud lungo il “cammino della speranza”, scrisse Giorgio Lunt sul quotidiano “LA STAMPA” del 13 maggio 1965. Dopo il crollo rimaneva ancora intatta un’intera parte del palazzo, ovvero quella a Nord. Seguirono perizie dettagliate che condussero alla sua demolizione, avvenuta alle ore 16,18 del 28/5/1965. Nulla oggi resta di quei muri che stavano sorgendo tra l’Aurelia ed il bivio per Bardineto, di fronte all’oleificio Roveraro, di quel palazzo. Nel recente passato, in occasione della ristrutturazione di tutta l’area, l’Amministrazione Comunale ha voluto ricordare questi lavoratori, ai quali è intitolata la piazza, mediante la realizzazione di un monumento. Ognuno che lì compie un passo ricorda il sacrificio di inermi salariati, vittime dello sproporzionato sviluppo edilizio che li ha uccisi e che ha ammazzato il territorio. Ora ci resta il ricordo di sette vite tragicamente spezzate in un cantiere, quale testimonianza del sacrificio di giovani e padri di famiglia stroncati durante l’esercizio del loro mestiere, con la speranza che il lavoro sia solo e sempre simbolo di vita, prosperità e fonte di guadagno e non perdita di vite umane.
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