Autostrade per l’Italia: dividendi d’oro, sindacati in crisi e lavoratori disillusi

Autostrade per l’Italia (Aspi) è al centro di una parabola paradossale, dove a brillare sono i dividendi miliardari e non certo il benessere dei lavoratori o il servizio agli utenti. Quest’anno, la società ha distribuito ai suoi azionisti – Cassa depositi e prestiti (51%) e i fondi Blackstone e Macquarie (24,5% ciascuno) – ben 900 milioni di euro. Una cifra che si aggiunge ai 3,4 miliardi già incassati dagli azionisti dal 2020, anno della “finta nazionalizzazione”.

Un sistema blindato per garantire i profitti
Questi dividendi record sono frutto di un patto riservato che prevede un miliardo l’anno garantito fino al 2029. Il paradosso è evidente: i nuovi azionisti hanno già recuperato gran parte del capitale investito, grazie a politiche finanziarie che fanno lievitare i debiti, ma arricchiscono gli investitori. La promessa iniziale di piani di investimento ambiziosi e di lungo termine per le infrastrutture strategiche sembra ora un’illusione lontana, se si considera la riduzione progressiva del personale, i disservizi crescenti per gli utenti e l’automazione spinta dei caselli.

La crisi degli esattori e il disservizio agli utenti
Uno degli aspetti più evidenti della ristrutturazione in corso è la progressiva scomparsa della figura dell’esattore. I caselli, un tempo presidiati manualmente, sono sempre più gestiti in remoto, non solo di notte ma anche durante il giorno. Questa politica, giustificata dalla necessità di adattarsi ai cambiamenti tecnologici, sta già creando notevoli disagi agli utenti. Le lunghe code, i malfunzionamenti dei sistemi automatizzati e l’assenza di personale per fornire assistenza sono solo alcune delle criticità segnalate.
A farne le spese sono anche i lavoratori.
Gli esattori rimasti sono in numero ridotto, si va verso la loro progressiva sostituzione con personale assunto su base non continuativa o con contratti ridotti rispetto ai tempi pieni. Per questo dal 1 gennaio è partito un nuovo piano di incentivazione all’esodo per i vecchi esattori, un piano con condizioni peggiorative rispetto ai precedenti, difficilmente accettabile dai dipendenti
Una situazione che, oltre a compromettere la qualità del servizio, alimenta il malcontento tra i dipendenti.

Sindacati: un potere evaporato
In questo contesto di profonda trasformazione, il ruolo dei sindacati è sempre più marginale. Un tempo capaci di organizzare scioperi efficaci e di strappare condizioni dignitose per i lavoratori, oggi appaiono come semplici comparse. L’automazione e la crescente insensibilità dell’azienda verso le rivendicazioni sindacali hanno reso ogni azione collettiva inefficace. La fiducia dei lavoratori nei confronti dei sindacati è ai minimi storici.

Gli iscritti, ormai, sono per lo più giovani neoassunti che si affidano alle organizzazioni sindacali nella speranza, spesso vana, di migliorare le proprie condizioni contrattuali. Tuttavia, senza la forza e la coesione di un tempo, il sindacato “vivacchia”, incapace di opporsi alle scelte aziendali che impoveriscono i lavoratori e peggiorano il servizio.

Disagi per gli utenti, utili per gli azionisti
Nel frattempo, i pedaggi continuano a crescere, mentre gli utenti devono fare i conti con cantieri infiniti, code interminabili e una rete autostradale che appare sempre meno efficiente. La priorità, per Aspi, sembra essere unicamente il ritorno economico per gli azionisti, lasciando ai margini sia i lavoratori che gli utenti.
La parabola di Autostrade per l’Italia è l’emblema di un sistema che premia pochi e penalizza molti. Gli azionisti festeggiano dividendi miliardari, mentre i lavoratori si vedono privati di diritti e dignità, e gli utenti pagano pedaggi sempre più cari per un servizio in declino. Un equilibrio rotto, in cui il sindacato, ormai privo di potere, non riesce più a essere un argine. La speranza è che questa spirale venga presto interrotta, ma la strada da percorrere sembra ancora lunga e in salita.

L’articolo del Fatto Quotidiano
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