A PROPOSITO DI ROM Prevedevamo che trattare un tema scottante, difficile e controverso come quello dei Rom, avrebbe potuto generare equivoci e portato a reazioni scomposte, ora poetiche, ora schematiche, ora isteriche e virulente: dalle accuse di razzismo (?), a quelle di ignoranza del tema, fino alle citazioni artistiche di Django Reinhardt, Gipsy King, Orfei e Togni. La parte positiva è che mai come in altri casi finora si è aperto un dibattito che speriamo veda prevalere il confronto e non la colpevolizzazione pregiudiziale delle posizioni dell’altro. In tal senso ospitiamo di seguito un contributo a cura di Nat Russo. |
Di seguito troverete tre interventi che rappresentano sensibilità ed opinioni diverse. Il primo é dell’Ingegner Franco Zunino responsabile del Settore Ambiente del Comune di Celle Ligure, attualmente consigliere comunale di maggioranza del Comune di Savona, già Assessore Regionale all’Ambiente. Il secondo è della Dott.ssa Anna Maroscia, Presidente della Associazione Dante Alighieri di Savona, ex funzionaria di spicco della Camera di Commercio, madre dell’attuale Sindaco di Savona Prof. Federico Berruti, docente dell’Università Bocconi. Il terzo è del Dott. Andrea Guido, psicologo, collaboratore della Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova, già collaboratore del progetto Venti di Partecipazione attivato dall’Assessore alla Partecipazione del Comune di Savona Sergio Lugaro, ma oggi in stand by…. NUOVI!!!! Riceviamo e volentieri diffondiamo due contributi dell’Ing. Marco Lima, Ingegnere, esperto di Internet degli Oggetti presso la Fondazione CIMA del Campus di Savona in cui opera la Start Up Acronet ed una nuova testimonianza della Dott.ssa Anna Maroscia. |
A PROPOSITO DEI ROM a cura di Nat Russo La ricerca psico-antropologo-sociologica più avanzata su questa tipologia di marginalità (Glauco Sanga, Marzio Barbagli, Leonardo Piasere, Dick Zatta, Francesco Remotti) usa un’analogia fra i Rom e le antiche popolazioni nomadi di cacciatori-raccoglitori, evidenziando però che l’ambito della raccolta si è oggigiorno ampliato. I prodotti della raccolta non sono più solamente i prodotti della terra o della caccia ma anche i prodotti dell’attività industriale, ciò spiega la mancanza di senso di colpa in coloro che si dedicano ai furti quotidiani. Nelle comunità Rom, rubare ai gagé (i non zingari) è spiegabile con la teoria dello svantaggio sociale e privazione relativa. Secondo questa teoria l’individuo è un animale morale, che durante l’infanzia e l’adolescenza interiorizza le norme della società in cui vive. Se viola queste norme (uccidere, rubare, etc.) è a causa della frustrazione causata tra lo squilibrio esistente fra la struttura culturale, che definisce le mete verso cui tendere socialmente, e la struttura sociale, costituita dalla distribuzione effettiva delle opportunità reali. Le frustrazioni (sentimenti di ingiustizia, sdegno, risentimento, etc.) determinano il senso di privazione relativa, che non nasce dalla condizione obiettiva del soggetto, ma dal gruppo di riferimento che sceglie: dal rapporto tra aspirazione e realtà. In base a questa teoria, i Rom fanno propria la meta culturale (il successo economico) del paese dove sono emigrati, senza avere però la possibilità di raggiungerla legalmente. La stessa teoria spiega la minore incidenza dei reati commessi nelle regioni meridionali, dove vige l’arte di arrangiarsi e di accontentarsi perché il grado di aspettativa è meno elevato. I Rom hanno una storia nomadica secolare. Negarla e pretendere di farli diventare stanziali è un controsenso. I Rom non sono assimilabili ad altre minoranze etniche, vivono in due mondi paralleli che sono incompatibili. Il costante rapporto con i gagè (i non Rom) è una relazione del tutto diversa con quella di altri popoli e minoranze etniche. Una relazione che non è di confine, in quanto non vi sono territori Rom e territori non-Rom; né può essere definita unarelazione coloniale, in quanto i gagè non hanno mai conquistato i Rom, né viceversa. Le popolazioni non-Rom costituiscono l’ambiente sociale dove vivono i Rom, cercando di sfruttare le loro risorse economiche e territoriali, convivendo in un’ostilità estrema e collocandosi in tutte le nicchie nelle quali intravvedono una possibilità. Tra i Rom presenti in Italia, circa 30-40.000 unità provengono dalla ex Jugoslavia. Alcuni erano presenti da più decenni in Italia, immigrati di terza generazione, ragazzi cioè nati in Italia da genitori, a loro volta nati in Italia, ma una gran parte di loro non ha mai posseduto un’autorizzazione stabile al soggiorno. Altri invece sono emigrati per sfuggire alla guerra civile ed alle persecuzioni etniche, venendosi così a trovare in una condizione di apolidia di fatto, a causa della distruzione dei registri anagrafici in molte città della Bosnia ed Erzegovina e del Kosovo. L’altissima incidenza statistica di reati, quali furto e borseggio, tra i minori Rom, viene considerato erroneamente come un fenomeno fisiologico alla formazione di una società multiculturale, al quale si somministrano i consueti strumenti socio assistenziali tipici di ogni marginalità sociale ed economica. Viceversa esso è lo specchio di una natura di reati tipici predatorii difficilmente gestibili. Tra i minori Rom infatti solo il 37% dei segnalati risultano presi in carico dal servizio sociale di giustizia minorile, (74% degli italiani e 54% degli stranieri). Ciò è dovuto alla rigidità del sistema giudiziario minorile italiano, basato più sullo sfruttamento delle risorse esistenti (numero di operatori, comunità minorili, centri di aggregazione giovanile, progetti di inclusione sociale e recupero, etc.) che sulla sperimentazione di sistemi flessibili adeguati alle diverse tipologie di casi. Ciò rende complicato se non impossibile gli interventi rieducativi, dovuti alle condizioni di arrivo del minore, spesso già recidivo a causa del difficilissimo ambiente di vita nei campi Rom. L’insuccesso, anziché portare ad un proficuo atteggiamento di autocritica e di cambiamento, favorisce invece il giustificazionismo culturale della devianza minorile dei Rom e la deresponsabilizzazione degli operatori della giustizia minorile e dei servizi sociali. NON SONO D’ACCORDO CON LE VOSTRE ANALISI di Franco Zunino Decisamente non sono d’accordo con le vostre analisi. Popolazioni Rom sono ormai stanziali in molte città d’Italia da decenni e non hanno niente più a che fare col nomadismo. In alcuni casi ci sono, anche nella nostra Regione, inserimenti anche nelle case di ARTE. Non mi pare peraltro che ci siano particolari problemi di delinquenza derivante dalla comunità che risiede alla Fontanassa o avete dati diversi? E allora dovreste pubblicarli!!Onestamente mi pare una posizione piuttosto superficiale e che mi pare cerchi solo facili consensi. Vi consiglio di leggere anche qualcosa di Pino Petruzzelli e di Guadagnucci (uno dei giornalisti pestati al G8) al riguardo o la tesi di laurea di Gian Maria Pace proprio sulla comunità della Fontanassa. Vi segnalo che uno dei migliori combattenti nella Resistenza contro il fascismo del ponente ligure e tragicamente morto giovanissimo per la libertà del nostro paese era un Rom il cui nome di battaglia era Tarzan.
Mi riservo di approfondire il discorso cui Rom di Anna Maroscia Mi riservo di approfondire il discorso cui Rom, poiché sto scrivendo un libro, in cui cito i Rom della mia città dì origine, e lo faccio anche grazie alla tesi di laurea inviatami da una ROM che si è appena laureata in giurisprudenza. A parte tutto, comunque, mi piacerebbe sapere come poter interloquire conoscendo gli amici a cui mi rivolgo, Attendo quindi di conoscere i vostri nomi. Cordiali saluti. I COSTI SOCIALI DEL SOCIALE Partiamo dal presupposto che sul territorio savonese vivono differenti gruppi di cittadini, distinguibili sulla base del credo religioso, della lingua, degli interessi, degl’usi e costumi etc; di questi gruppi fa parte anche la comunità “nomade” (Rom, Sinti, Caminanti). La comunità che vive sul territorio savonese è quindi composta dalla somma di tali gruppi, mentre la commistione delle differenti esigenze peculiari e usi tradizionali rappresenta la complessità della struttura della comunità stessa. In altre parole, nel savonese convivono svariati gruppi, con usi e costumi spesso differenti, i quali divengono comunità nel momento in cui tali usi e costumi non vanno a rappresentare un presupposto per demarcare una differenza, quindi una separazione, ma si integrano permettendo a chiunque (qualsiasi sia la sua provenienza, religione, cultura, etc) di considerarsi cittadino di un certo territorio e di collaborare così alla crescita e prosperità del territorio stesso. Diversamente ogni gruppo finisce per dichiararsi comunità, considerando le proprie usanze come le migliori possibili, incompatibili con quelle degl’altri gruppi; creando quindi una dispersione delle forze presenti sul territorio in conflittualità il più delle volte incapaci di creare nulla se non sterile polemica. La coesione sociale rappresenta quindi un obiettivo da perseguire, che dovrebbe essere un faro per ogni amministrazione territoriale, partendo dai comuni, alle province fino alle regioni. Quando un intervento nell’ambito del sociale non considera la necessità di curare la coesione della comunità sta depauperando le energie della comunità in cui interviene (piuttosto che ravvivarle, renderle più forti), facendo sì che si generino fratture tra parti della cittadinanza, creando quindi i presupposti perchè due o più gruppi di cittadini possano dichiararsi diversi, con esigenze\stili di vita\usanze peculiari inconciliabili, quindi di fatto antagonisti. Ogni intervento nell’ambito sociale deve partire quindi dalla valutazione di quali saranno le ripercussioni per la comunità su cui va a operare, considerando non solo la situazione peculiare che deve essere risolta, ma anticipando quali scenari andrà a generare e se tali scenari potrebbero creare spaccature nella comunità stessa o viceversa collaboreranno a renderla ancora più salda e coesa; l’intera politica della Comunità Europea si basa su tale principio, quello che conta non è risolvere un problema contingente, ma farlo con le modalità più utili a rinforzare il patrimonio “comunità”. Appare chiaro come l’intervento che il Comune di Savona vuole realizzare per il campo nomadi della Fontanassa rappresenti un occasione per rinfocolare antiche divisioni, e non faccia nulla invece per promuovere una condivisione da parte del gruppo nomadi e di quello dei cittadini stanziali, che potrebbero collaborare condividendo la necessità di intervenire per gestire quello che senza dubbio rappresenta un problema per la comunità tutta (le scarse condizioni igienico\sanitarie presenti nel campo nomadi, quindi in un punto della città di Savona. La superficialità con cui spesso vengono affrontati i problemi sociali, che prescinde dalla considerazione delle implicazioni relative alla metodologia prescelta per l’affrontarli, ci porta a pagare un caro prezzo: il lento depauperamento delle energie della nostra comunità.
29 agosto
Riceviamo e volentieri diffondiamo due contributi dell’Ing. Marco Lima, Ingegnere, esperto di Internet degli Oggetti presso la Fondazione CIMA del Campus di Savona in cui opera la Start Up Acronet ed una nuova testimonianza della Dott.ssa Anna Maroscia.
Spiace dover segnalare anche un recentissimo fatto di cronaca che parrebbe contraddire alcuni interventi giustificazionisti di politici locali che ci hanno accusato addirittura di una “posizione piuttosto superficiale e che mi pare cerchi solo facili consensi” (??? quali, di chi e per farne cosa ???)
Notiamo come a volte un pregiudizio si ostini ad ignorare i fatti. Anche questo è un segno dell’incapacità di certa classe politica di comprendere la realtà che la circonda e di ignorare i problemi della gente comune. Con gli occhi foderati dal prosciutto dell’ideologia non si vedono i questuanti ROM stanziali alle casse dei park, né le prostitute bambine dei giardini di Piazza del Popolo, invisibili alla postazione dei Vigili Urbani ed al Palazzo di Giustizia, non si leggono nemmeno i consigli delle forze dell’ordine nella quotidiana lotta contro i furti. Non neghiamo che vi possa essere stato qualche sporadicissimo caso di assegnazione di case popolari (consiglieremmo allora, per scrupolo, un controllo sui casi illegittimi di subaffitto, purtroppo non solo opera di ROM), ma negare l’evidenza del Comune stesso in cui si fa parte della maggioranza… Il fatto che non si parli di un piano casa ma di un Campo Nomadi, lo si voglia gestire come un campeggio, che nella stagione estiva la popolazione ROM si triplichi per il ricco mercato del borseggio ai turisti e l’aumento di case lasciate vuote per le vacanze, non la dice lunga? Ma se la realtà disturba, non basta negarla per farla scomparire.. NON CHIAMARMI ZINGARO di Marco Lima Ho letto in passato “Non chiamarmi zingaro” di Petruzzelli. Non ricordo molto, ma di certo ricordo che quello del nomadismo è uno dei tanti luoghi comuni che circolano sulle popolazioni rom. Se qualcuno volesse almeno cominciare a conoscere il lavoro di Petruzzelli ci sono dei video su youtube tra cui questi; Non credo sia un grande contributo, ma un piccolo incentivo forse sì. GLI ZINGARI DI CAMPOBASSO di Anna Maroscia La mia conoscenza della comunità rom, più comunemente chiamata “zingari”, come ho già scritto si rifà sopratutto alla colonia di Campobasso, mio paese di origine. Gli stereotipi negativi nei confronti dei rom propagandati dalla società maggioritaria relegano gli zingari nell’ambito della criminalità, della pericolosità sociale, dimenticando che, in nome delle medesime rappresentazioni antizingare, l’ideologia nazista ha perseguitato il popolo zigano durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli zingari, vittime del nazismo, continuano a rappresentare una pagina minore dello sterminio perpetrato dal Terzo Reich. Solo nel 1994 è stata riconosciuta la Prima Giornata della Memoria dedicata ai Rom e ai Sinti vittime dell’olocausto. Ancor oggi ci riesce difficile ricordare i 500.000 zingari cancellati dal nazismo e pensare che campi di concentramento per zingari erano presenti anche in territorio italiano. I Rom del Molise discendono da gruppi che qui si stanziarono nel XV secolo e l’ipotesi più accreditata circa le loro origini è avvalorata dall’analisi glottologica dell’attuale loro lingua che presenta tratti arcaici dell’antico idioma indiano e prestiti lessicali mutuati dalla lingua persiana, quindi giunsero probabilmente dalla regione balcanica. Inizialmente praticarono un nomadismo stagionale legato ai cambiamenti climatici, poi man mano si stabilirono in un quartiere della città, in via S, Antonio Abate, in cui ancora oggi risiedono alcune famiglie che presero in affitto e poi acquistarono vecchie abitazioni un tempo di proprietà dei contadini. A seguito del riconoscimento ufficiale della presenza dei Rom tra il 70 e il 73 l’amministrazione comunale ha concesso loro la residenza anagrafica consentendo, quindi, di partecipare ai bandi di concorso per l’assegnazione di alloggi popolari. A partire dagli anni 80 quindi molte famiglie abbandonarono il quartiere per trasferirsi altrove. Attualmente la comunità è costituita da 350 individui circa. Individuare i tratti distintivi della loro cultura non è semplice, perchè è lo stesso concetto di “cultura” che è entrato in crisi: per grandi antropologi come Geertz, Clifford o Wagner la nozione di “cultura” è un concetto che ha perso valore nell’indagine etnografica, quindi a maggior ragione poco adatto a definire gli zingari. In sostanza, pero, gli zingari di Campobasso vivono ormai stabilmente in una abitazione da circa quattro generazioni ed hanno residenza fissa nel capoluogo molisano almeno dagli anni Settanta; non abitano più nello stesso quartiere ma sono dispersi nella città; il numero di matrimoni misti del tipo zingaro/non zingara è in costante aumento; le attività tradizionali (lavorazione dei metalli, commercio dei cavalli, ecc,.) sono state sostituite da mestieri sedentari (commercio auto usate, lavori di edilizia); le nuove generazioni posseggono un livello di scolarizzazione che oscilla tra l’istruzione elementare e media, ma è possibile incontrare rom con diploma di laurea. Di fronte a tali mutamenti resta da chiedersi, almeno nella mia Campobasso, cosa permette ai rom di continuare a percepirsi come gruppo a sé. Sarebbe molto interessante mettervi al corrente di alcuni tratti fondamentali della loro “cultura”, che anche in me hanno suscitato stupore, ma se interessa ne parlerò in seguito. Tengo a precisare che tutte le mie notizie sono desunte da studiosi reperiti attraverso il corso di laurea di antropologia dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza.
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