Savona finalista Capitale Italiana della Cultura: una festa con retrogusto amaro, hanno dimenticato chi ha avuto l’idea

Savona ha raggiunto un traguardo prestigioso: è tra le dieci finaliste per il titolo di Capitale Italiana della Cultura. Una notizia che ha scatenato un’ondata di entusiasmo, in città e soprattutto in giunta comunale. In prima fila le due protagoniste principali di questa narrazione: l’assessora Negro e l’assessora Di Padova, pronte a raccogliere applausi e meriti per un risultato che definiscono frutto del loro instancabile lavoro.
Le celebrazioni hanno invaso i social, le piazze e i salotti buoni della città, accompagnate da foto ufficiali, interviste e dichiarazioni trionfalistiche. Tuttavia, dietro l’euforia, si cela un retrogusto amaro: l’assenza di un nome. Un nome che avrebbe meritato, per dovere di giustizia e correttezza, di essere ricordato: Cristina Bicceri.
È stata proprio lei, Cristina Bicceri, la vera ideatrice della candidatura di Savona. La prima a credere nel potenziale della città, a intuire che Savona avrebbe potuto competere per questo prestigioso titolo. È grazie alla sua determinazione e al suo lavoro che si è avviato questo percorso. Eppure, nessuna menzione nelle interviste, nessuna presenza nelle foto di rito, neanche un accenno al suo contributo.
Se da un lato si può comprendere l’entusiasmo delle due assessore, abili nel gestire le luci della ribalta, dall’altro stupisce l’atteggiamento del sindaco, che ha sempre predicato la condivisione e l’ascolto dei cittadini. Il sindaco che invita tutti a lavorare insieme, a mettere al centro la comunità, questa volta sembra essersi dimenticato della sua stessa filosofia.
Sarà una strategia politica, forse un’amara rappresentazione della realtà: quando si vince, il merito è sempre di chi si trova sotto i riflettori, mentre chi ha preparato il terreno rimane nell’ombra.
Savona può celebrare il suo successo, ma non deve dimenticare che la cultura, la vera cultura, è anche memoria. E il futuro di una città non si costruisce solo con le foto di gruppo, ma riconoscendo il valore di ogni contributo, anche di quelli che non fanno rumore.
Una vittoria incompleta, dunque, che lascia un interrogativo: quanto vale un traguardo, se ci si dimentica di chi ha permesso di raggiungerlo?

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