Prima che sia troppo tardi

Tragedia del Vajont

L’interazione dell’uomo con la natura è parte dell’evoluzione della natura stessa.
Perché l’uomo fa parte della natura, ma non deve diventarne nemico.
Non si tratta di un tema di esclusivo carattere ecologico.
Ce l’ha rammentato, pochi giorni addietro, anche Papa Francesco con la sua ultima esortazione.
Assicurare una cornice di sicurezza alla nostra comunità significa saper apprendere la lezione dei fatti e saper fare passi avanti.
Siamo qui oggi, con il Presidente della Camera dei deputati, il Ministro che rappresenta il Governo, i Presidenti delle Regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto, i Sindaci di Longarone, Erto e Casso e Vajont, e tanti altri Sindaci delle due Regioni presenti.
Siamo qui a rendere memoria di persone.
Le persone che hanno abitato queste vallate.
Quelle che sono morte il 9 ottobre 1963.
Quelle che sono sopravvissute.
Quelle che hanno dovuto lasciare le loro case e quelle che hanno lottato strenuamente per ricostruirle, per rimanervi.
Storie di luoghi che non vi sono più, storie di luoghi che la tenacia degli abitanti ha voluto far rivivere dopo la tragedia.
Insieme con Longarone, Pirago, Maè, Villanova e Rivalta, Frasèin, Col delle Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, Faè, Erto e Casso.
Inizio il mio pensiero con una parte del discorso che sul luogo del disastro ha fatto il Presidente della Repubblica in occasione dei 60 anni dalla tragedia del Vajont.
Oggi una comunità sta lottando strenuamente per evitare l’istallazione di un rigassificatore nel mare di Vado Ligure e si parla di un territorio che ha subito di tutto in questi anni e che andrebbe lasciato finalmente in pace.
Una nave gasiera contenente 125 mila metri cubi di Gnl sarebbe «l’incidente più catastrofico immaginabile»: il gas freddissimo, a contatto con l’acqua di mare più calda, inizierebbe a evaporare formando una nube che, mescolandosi con l’aria, creerebbe una miscela esplosiva; se, spinta dal vento, essa investisse una città, qualsiasi scintilla la farebbe esplodere, liberando una potenza di circa un megaton (un milione di tonnellate di tritolo), «nell’ordine di potenza distruttiva delle bombe atomiche».
Questo è il reali rischio che corriamo amici e oggi come allora chi avverte degli enormi rischi che corriamo, viene bollato di fomentare la paura essere contro il progresso.
Dice Toti : “La nave rigassificatrice che dovrebbe essere installata dal 2026 al largo di Vado Ligure è molto meno pericolosa di un distributore di benzina”. E aggiunge “Smettiamo di avere paura del progresso e del futuro”.
Vedete amiche e amici anche allora c’era chi avvertiva che sarebbe successo qualcosa di estremamente grave, è la giornalista Merlin che inizia a scrivere degli articoli di denuncia sul pericolo della diga per la valle, preannunciando un disastro ambientale senza precedenti. Già agli inizi degli anni ’50 scrive una serie di articoli per l’Unità. Pensate che nel 1959 viene addirittura denunciata per aver divulgato a mezzo stampa notizie false e tendenziose. Andò a processo e venne assolta, grazie alle testimonianze dei valligiani. Ho adoperato la similitudine del disastro di 60 anni perché si dovrebbe ragionare quando si agisce con progetti considerati dai più pericolosi.
Il disastro del Vajont è un tragico evento che, oggi, a distanza di sessant’anni dovrebbe far riflettere su alcuni punti.
Siamo formiche nei confronti dei fenomeni naturali; dobbiamo ricordarci che con la natura non si scherza, altrimenti si rischia di farsi molto male.
Non dobbiamo mai abbassare la guardia. A tenerla alta sono spesso le popolazioni locali. Le resistenze dei cittadini e delle comunità non si possono sempre liquidare come “ambientalismo dei no”, oppure “localismo dei no”. C’è una saggezza antica delle popolazioni, di chi ha esperienza e tradizione dei luoghi che merita fiducia, attenzione, rispetto.
Ecco signor Presidente Toti le chiedo di pensare 1000 volte e ancora altre 1000 prima di assumere tale responsabilità perché, Dio non lo permetta, se succedesse qualcosa non si potrà mai tornare indietro è questa la lezione che dobbiamo trarre dalla tragedia del Vajont.

Roberto Paolino

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