Questo è il titolo della poesia della bambina di 9 anni morta nell’attentato dei Georgofili a Firenze nel 93 quando frequentava le scuole elementari. Nadia aveva scritto una poesia che si chiamava Tramonto. I resti di quella poesia – pagine di quaderno annerite sopravvissute all’esplosione – sono stati ritrovate tra le macerie. E da quel giorno quella poesia è diventata un simbolo. I Ros hanno voluto per ricordarla chiamare proprio tramonto l’operazione che ha portato a l’arresto di Matteo Messina Denaro.
Trenta anni di latitanza per quello che la stampa ha definito l’ultimo capo stragista di cosa nostra.
Ovviamente in un Paese di Commissari tecnici, virologi, generali militari, non potevano mancare soprattutto sui social gli esperti antimafia.
Per cui si è letto giudizi pesanti del tipo:
Si è consegnato o ancora è malato preferisce farsi curare dallo stato, oppure “bella forza dopo trenta anni di latitanza”.
Io non sono un esperto, né un investigatore, esprimo semplicemente la sensazione di ragazzo di Paese che un po’ conosce il mondo.
Un mafioso non si consegna mai, troppi gli interessi che dovrebbe abbandonare nelle mani altrui. Soprattutto chi come lui non ha mai fatto un giorno di carcere in quanto condannato in contumacia. È stato condannato per la strage di Capaci, per quella di via D’Amelio e per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. È ritenuto colpevole anche di decine di omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo nel 1996. Per cui sicuramente non si è consegnato, né ha patteggiato l’arresto, semplicemente ha perso potere, protezioni e amicizie importanti.
Dietro a questa operazione ci sono anni di appostamenti intercettazioni e duro lavoro.
Non nego che probabilmente è riuscito a sfuggire alla cattura per tanti anni grazie alla rete di protezione politica e non, probabilmente avvisato prima delle mosse che stavano compiendo, gli inquirenti o grazie a depistaggi abilmente messi in atto.
I cacciatori, così si chiamano coloro che cercano i latitanti, dicono che la caccia è un lavoro che porta risultati solo quando sei riuscito con arresti di complici fiancheggiatori a svuotargli “il pozzo dell’acqua”.
Certamente non dobbiamo commettere l’errore di pensare che con questo arresto sia finita.
Si è vinto una battaglia contro “cosa nostra” la guerra no, perché probabilmente oggi il potere mafioso si è evoluto.
Se prima a “comandare” erano dei rozzi contadini, oggi cosa nostra è guidata dai cosiddetti
“Colletti bianchi” più sofisticati, inseriti nella società civile perciò più pericolosi in quanto abilmente mimetizzati tra noi.
Lasciatemi ancora dire una cosa, l’arresto di qualche giorno fa ha un’importanza simbolica importante in quanto ricorda ai “signori “mafiosi che è questione di tempo, prima o poi il conto lo pagano.
Mi piace pensare che da lassù Il generale Dalla Chiesa, i magistrati Falcone e Borsellino e tutte le vittime di mafia abbiano applaudito le forze dell’ordine insieme ai coraggiosi che lo hanno fatto per la strada.
Confidiamo nei giovani, sono loro con la schiena dritta il futuro del nostro Paese.
E mai dimenticare chi per liberarci dal cancro mafioso ha pagato con la vita.
Onore per sempre a loro.
Roberto Paolino