Primarie PD: I segreti di Via Untoria

Primarie PD:
I sotterranei di Via Untoria 
 Un romanzo breve dedicato indirettamente alle Primarie e (poi si capirà) alla vita politica di Savona

Mancava poco a mezzanotte. L’immenso corridoio della Federazione era deserto, male illuminato e invaso da una sorta di nebbia polverosa. Le sue scarpe di vernice, che non metteva quasi mai, scricchiolavano come quelle di un bambino alla prima Comunione. Arrivato in ufficio, per prima cosa si scaldò le mani, poi con il sigaro tra i denti, entrò nella stanza della Segreteria. Vi trovò, inaspettatamente M. e un suo stretto collaboratore. Mani tra i capelli e sguardo vacuo, quasi bovino. Butto lì: “Allora vecchio mio?”. Senza ottenere o sentire risposta, si accomodò sull’angolo dell’ampia scrivania di vetro. Una folata di aria gelida e umida, anticipò l’entrata in sala di S. che portava un foglietto sgualcito e unto dove si intravedevano cifre riportate frettolosamente con una biro.

Nell’altra saletta, piena ai muri di litografie di illustri artisti, che sino ad allora sembrava vuota, L. evidentemente al telefono, gridò un imprecazione irripetibile. Lì per lì, non si capì se fosse rivolta all’interlocutore o al destino, che come si sa, a volte può essere cieco e baro.

Da fuori proveniva un indefinito, ma costante rumore che ogni tanto riportava alla vita vera. Gridolini di ragazze mischiate a arie musicali provenienti dalla vicina Darsena..

L’ inospitale superficie vitrea, per altro alquanto fredda, lo portò ad alzarsi e meccanicamente a rispondere al telefono che squillava da tempo a vuoto. Dall’altro capo del filo, si sentì come un gorgoglio: “Pronto e’ la Federazione, ti volevo…”

Sì dimmi!”

No, volevo solamente dare i dati del nostro seggio”

“Forse cercavi qualcuno in particolare?”

Ma..Tu chi sei? posso darli a te? Sai viene tardi, mia moglie mi aspetta. Insomma ti do questi dati e poi vado!”

“Guarda che non sono io che…”. L’altro intanto per meccanismo automatico aveva già iniziato la litania.

“Allora votanti 30 di cui 6 donne. P. 10 C.9. gli altri o bianche o astenuti. Che faccio del verbale?”

Ma sì, ma sì, vedi tu.”

Chiusa la comunicazione, meccanicamente passò la mano sul tavolo cercando di nettare gli avanzi di riunioni, incontri, odii personali, piccolezze umane, sciatterie, umili bassezze. Come se da quella concreta pulizia, ne derivasse una più metaforica relativa a se stesso e al mondo che conobbe. Tutto quello che ricordava era che se prima esisteva un Partito con la P maiuscola, che le proprie abominie, le proprie debolezze, le proprie incongruenze, le nascondeva sotto al tappeto, proprio come la Chiesa Cattolica, ora tutto esplodeva nella grigia e noiosa “verve” dello scontro spettacolo. Nel quale ognuno, veramente, misura la propria mediocrità senza accorgersene, o senza farne di conto.

B. adesso era veramente fuori di se. Un Circolo su cui contava, aveva avuto risultati inferiori alle aspettative. Quando si arrabbiava, B. sembrava, realmente cambiare voce. E a dir la verità, anche aspetto. Il tono della voce diventava stridulo, quasi isterico, come di un bambino indispettito dal non trovare la mattina di Natale il regalo preteso. Strideva l’incongruenza con cui la voce di L., echeggiava nella volta imbiancata e che pareva dura e decisa come quella di un caporale di giornata.

Era effettivamente tardi. Si sovrapponevano telefonate a entrate di persone che a cavalcioni della propria moto, entrando con i casco semi aperto nella Federazione, portavano cenci catarcei di verbali dei seggi elettorali, senza per altro trovare le persone, che al quel punto, avrebbero inserito i dati nel software predisposto dal Regionale.

Alle 2 il volume aereo era quasi interamente occupato dal fumo delle persone che nel frattempo erano entrate negli stretti e umidi uffici anche solo per curiosità o per approfittare del momento per parlare con l’Assessore al Commercio, che era arrivato con la macchina che sostava all’ingresso con le frecce in azione.

I conti non erano ancora definitivi. Mancavano alcuni Circoli di grandi dimensioni che avrebbero potuto cambiare l’equilibrio e i numeri sino ad allora stabiliti. Pur tuttavia, la tensione non era impalpabile, anzi, sembrava di assistere ad una verifica burocratica, ad un controllo fiscale. Forse perchè la maggior parte degli sforzi fatti dai contendenti non davano agli elettori quello spunto legato alla speranza. Forse perchè lo scontro tra boxeur piace solo se fatto sul ring e non per un elezione politica. Forse perchè la gente, anche quella più vicina, vuole avere il potere di scegliere su cosa si fa, piuttosto che non scegliere il candidato più sputtanato. Forse per questo e per altre questioni, che Lui in quel momento non voleva approffondire, lo colse un intenso senso di sgomento e di rabbia ed un conato di vomito, forse dovuto al precedente aperitivo con G. Si alzò definitivamente dalla sedia girevole che aveva occupato e usci, quasi senza salutare. Con lo sguardo perso prese verso Via Gramsci, dove con cadenza irregolare sparute automobili passavano, si sarebbe detto, con prudenza.

Prese una boccata d’aria, quella vera e umida che solo il Libeccio portava sino lì.

Ci pensò su. A Lui l’idea di scegliere prima il candidato per ogni ruolo pubblico, era sempre piaciuta. Immaginava la competizione tra due o più programmi, tra due o più ipotesi o sogni, come quelli che un personaggio politico deve poter costruire. Chi smette di sognare è un uomo morto. Per lo meno così Lui ha sempre pensato.

Così però no.

Questo è uno scontro di potere. Tra gruppi di potere. Lo si vede, lo si capisce.

Mentre pensava a queste cose un lampo e poi un suono sordo lo stordì per qualche attimo. Evidentemente la notte non era finita……..

 2 Ovvero del risveglio di Alberto Cardoni
 La luce bianca, intensa, come un vapore si materializzò nelle sue palpebre chiuse.
Voci, apparentemente lontane, simili a bisbiglii, lo fecero credere, per un attimo, solo per un attimo, di essere in un mondo ultraterreno. Poi il mal di testa, un terribile e acuto male al capo che sembrava stringerlo in una morsa d’acciaio. 
Lo sforzo per aprire gli occhi un impresa titanica. Il primo oggetto che vide di fronte a Lui, chissà perché, fu un bicchiere d’acqua mezzo pieno ed evidentemente poco lavato. Certo che la mente in certi momenti è strana. Coglie e ricorda particolari del tutto inusuali o normalmente poco evidenti.

La voce vicina, che subito non riconobbe, sussurrava, come si fa da una seduta in chiesa, senza per altro rendersi immediatamente chiara e comprensibile.

Ne uscivano suoni dilatati : “Erto, To, come ti senti? Mamma mia …nooon capisci”

Alberto Cardoni, in quel momento proprio non sapeva che cosa avrebbe dovuto capire. Ah!! ecco l’immagine si fece più nitida, come in un sequenza che aveva visto qualche giorno prima al Filmstudio.

Poi di colpo ecco affiorare i ricordi dei visi, dell’ambiente, degli oggetti. La moglie Sara seduta proprio in pizzo a una sedia plasticata di un brutto colore verde, gli stava parlando, ora in maniera più convinta e decisa. Ospedale, questa era aria di Ospedale, che ci faceva Lui lì? Un attacco di panico, un sobbalzo nel tentativo di alzarsi furono i primi atti consci di muscoli da troppo tempo rilassati.

Quattro mani, in maniera impercettibile ma decisa, lo costrinsero a riadagiarsi sul cuscino troppo soffice per i suoi gusti.

Poté quindi vedere con maggiore messa a fuoco il viso di Sara e le sue mani che lo accarezzavano, lo stringevano. Parevano avessero intenzione di emettere un fluido benefico e sciamanico verso di Lui.

Fu a quel punto che si accorse che intorno a se, come un gruppo gospel stavano inchinati altri personaggi. Uno, con il camice mal abbottonato, era palesemente un medico. Anzi, quando si presentò, si capì dal tono che era il Dottor Professor Tombolini, una specie di mago della Chirurgia, di cui l’Ospedale e l’ASL non era sufficientemente fiera.

Le sue parole tuonarono nell’immediato silenzio che si fece nella stanza: “Caro Cardoni, Lei è un uomo fortunato, non solo per la splendida moglie che ha e per una figlia così carina, ma soprattutto perché è stata una questione di pochi centimetri, che dico di pochi millimetri e oggi invece di un risveglio onoreremmo un funerale”. Che stava dicendo? Pensò, non senza un certo sforzo, Cardoni. Come in una piece degna della migliore ospitata dei Cattivi Maestri, anche l’altro personaggio decise che non si poteva fare a meno di intervenire.

“Ma sì dottor Cardoni, diciamo che è andata bene così! Quel bastardo avrebbe potuto mirare meglio. Comunque adesso non si preoccupi, stia sereno e tra qualche giorno, se il dottore quì me lo permetterà verbalizzeremo tutto.”. “Ma di che parla questo quì?” pensò Cardoni, che non riusciva a emetter qualcosa di più della saliva dalla sua bocca. A parlare era stato l’Ispettore Leonardi, della Digos che da anni seguiva in maniera discreta le manifestazioni, le riunioni, le assemblee, le esagerazioni, i conflitti ed i vizi della cosiddetta politica politicante, cioè delle organizzazioni parlamentari e non che si agitavano per la Provincia.

Un altra figura in silenzio e con un evidente rossore agli occhi, guardava estasiata l’allettato. La riconobbe subito. Era Gianna, la figlia, che senza proferire parola, gli parlava con gli occhi. O per lo meno così lui intese. Era uno sguardo di sollievo e di affetto. Uno sguardo cerchiato come di chi non solo aveva dormito poco, ma soprattutto male.

Cardoni non riusciva nemmeno a respirare bene. Prese, in modo forse idiota, a scuotere la testa da una parte all’altra. Come un pugile colpito da un gancio. Ci si scrolla un po’ per ritornare in coscienza.

Il fisico però vuole il suo sacrificio e dopo pochi minuti Cardoni piombò in un sonno senza sogni né prospettive.

Passarono due giorni di veglie, sussurri, luci fredde bianche che  sembravano sparate negli occhi per permettere a Cardoni di sentirsi più cosciente.

Era un Giovedì e il paziente veniva sottoposto alle 7 del mattino alle consuete e fastidiose routine ospedaliere, che tutti noi schiviamo nel nostro immaginario, ma che tutti più o meno verificheranno dal vero. Da protagonisti o da testimoni sempre con la stessa intimità spezzata di quei momenti.

Fu in occasione di un movimento anti sindrome ipocinetica che Cardoni avventandosi con un inaspettato scatto, stringendo il polso della OS che lo assisteva, chiese: “ma chi ha vinto? Che cosa mi è successo? Perche sono qui?”

In un momento, come fosse stata ben addestrata l’operatrice rispose: “Stia buono che ora viene il difficile. Comunque ha vinto P. Ma C. non è d’accordo e anche B. sostiene che ci sono stati dei brogli. Comunque per favore apra le natiche, se vuole che la pulisca come si deve,”

Cardoni, rivoltato sopra e sotto, come una sarda da impanare, rinvenne nella sua memoria i momenti in cui sua madre lo accudiva con tenerezza lavandolo e cambiandolo quando iniziava ad avere l’età del ricordo, ma non ancora quella dell’autosufficienza.

Nei giorni seguenti Cardoni venne a sapere, nell’ordine, che:

1)  le primarie erano state vinte da P. Con seguito di contumelie e denunce per presunte partecipazioni al voto extracomunitarie che non apparivano  del tutto regolari;

2)  lui era stato colpito da un colpo di arma da fuoco che lo aveva appena strisciato in testa, lasciandolo privo di sensi, con un successivo fortissimo mal di testa, ma almeno vivo;

3)  non si sapeva ne chi fosse stato, ne perché;

4)  L’ispettore Leonardi, era stato incaricato delle indagini, per fugare ogni dubbio su possibile ed eventuali attentati terroristici di matrice anarco-isisina-nazistoide, per poi magari, deviare su un più gestibile atto vendicativo, al limite ad un atto di un pazzo.

In quei giorni il sole era coperto da una coltre spessa di nubi che ne faceva passare a tratti una accecante lama di luce.

Cardoni, ormai in piedi, vestito con il pigiama di ordinanza, un pò triste, che tutti i degenti portano come una divisa. Aveva dovuto sopportare gli interrogatori, i tentativi di intervista dei giornali e delle tv locali, i commossi incontri con la moglie esasperata dalla tensione, le visite delle autorità e di B. in particolare, cosa che non l’aveva certo messo di buon umore.

In particolare era stato colpito da quel giovane cronista del più diffuso giornale locale, quel De Marzio o qualcosa del genere, che sembrava porgli le domande più intriganti ed intelligenti. In effetti neanche lui, ci capiva qualcosa, al di là di una profonda e stringente malinconia, che a tratti sfociava in un incazzatura senza limiti. Grande e grosso come era, con quella ancora spessa e ridicola fascia in testa, sembrava più un personaggio dei cartoni animati dei suoi tempi che il  “già “sindaco della Città. Sarà stato per quello che guardando alla sera la lunghissima banchina degli Alti fondali illuminata a giorno, venne sopraffatto dallo sconforto. Quella sera, dopo l’avvilente cena ospedaliera, si concesse finalmente la lettura dei messaggi che aveva ricevuto. Uno in particolare lo lasciò di stucco. Scritto al computer ed in una busta rosa come quella che usano le bimbe. Diceva semplicemente: “Costa di più una pallottola o una betoniera?”. Anche quella volta dovette credere che la notte non fosse finita.

 

 3  Dove l’Ispettore Leonardi si fa una cultura

Daniele, il barista barbuto, come potrebbe descriverlo Malvaldi, gli aveva appena servito un pomodoro condito, uno dei pochi aperitivi che si concedeva a causa dell’incipiente e traditrice colica da “bollicine” che da oltre 15 anni lo colpiva ogni volta bevesse o solo annusasse il vino bianco. Stava sfogliando i giornali locali, che rendicontavano l’ incontro del Segretario Provinciale con il Procuratore per via delle “presenze esterne” alle Primarie appena concluse e delle staffilate polemiche tra i diversi “protagonisti” della politica provinciale. Ma la vera notizia “bomba” era quella  dell’uscita del “Cinese” dal Partito. “Ma Sant’Iddio”, si disse, “se decidi di far votare tutti, ma proprio tutti, anche la nomina di un candidato, che vuoi aspettarti! Sarebbe come se il Condominio “Agave”, permettesse  ai residenti dell’odiato e vicino Condominio “Le due Palme” di decidere quale sarà il proprio Amministratore. “Cose da pazzi!” pensò.

Già, da quando era partita l’inchiesta aveva dovuto sorbirsi tutta una serie di contatti pesanti o senza significato. Lui ed i suoi colleghi, naturalmente, avevano interrogato le persone reperibili dei residenti nei condominii tra Via Untoria e Via Caboto. naturalmente non dopo aver accolto le testimonianze dei dirigenti del partito e di chi comunque, per un motivo e l’altro, erano vicini o potevano aver sentito qualcosa, quando Cardoni “venne sparato”. Naturalmente questa routine era necessaria, ma quasi mai aiutava le indagini. Infatti nessuno o quasi aveva sentito o visto niente sino al momento dello sparo. Se non vogliamo prendere per buone, le denunce postume di chi affermava di aver visto qualche giorno prima ferme due “zingare” sulla piccola scalinata che ti porta in Via Gramsci. Oppure di chi dichiarava di aver sempre pensato che l’abitante l’appartamento n.4 “sicuramente aveva giri strani perché sa ogni tanto fa delle festicciole a base di musica e droga,  quella che si fuma…”. Insomma niente di niente da poter presentare decentemente in un verbale.

In quei giorni Leonardi, si sorbì anche l’assemblea, in Prefettura, alla quale partecipava tutto l’Organismo di sicurezza al completo. La platea era composta da: il Prefetto e in Capo di Gabinetto, il Questore, Il Sindaco, l’Assessore, il Comandante dell’Arma, la Finanza, il Capo dei Vigili, con relativi sottoposti e collaboratori. Una riunione, più che altro organizzata per placare la fame di notizie  dell’opinione pubblica e alleviare la tensione della gente, che ancora non riusciva a capire, come le forze di polizia  del resto, le ragioni di quel gesto.

La riunione più spassosa Leonardi la visse però, con il suo proprio superiore, il Commissario Capo Luchetti, negli ambienti ed in via riservata, detto Lucichetti. Un uomo alto  sulla cinquantacinquina, perennemente abbronzato e vestito sempre come un manichino da boutique. A dir la verità un ottimo poliziotto, ma che durante gli studi, soprattutto nelle ore di Italiano, doveva aver avuto altro da fare, visti gli strafalcioni che riusciva a mettere insieme in una frase. Ad esempio quando disse :” Allora ragazzi, anzitutto come sempre dobbiamo essere superpartners sopra a questo caso. Quì non è terrorismo, ma un pazzo di certo. E allora, dobbiamo sapere che come diceva mio nonno: tanto va la gatta al tordo che ci lascia la gamba”. Normalmente Leonardi e colleghi, riuscivano a stento a trattenere un esplosione di risate. Qualcuno a volte simulava improvvisi e tremendi attacchi di tosse. Cosa che naturalmente capitò anche in quell’occasione.

Da giorni, l’inverno sembrava balbettare non decidendosi ad irrompere nella vita dei passanti che continuavano a scorrere su e giù per Via Paleocapa.

Leonardi, dalla notte precedente, continuava a ruminare un idea. Quella, che il biglietto anonimo inviato alla vittima non fosse opera di mitomane o di un pazzo, ma di chi aveva eseguito l’attentato. Si domandava se quel riferimento alla “betoniera” fosse  inquadrabile con la forte polemica sulla “cementificazione della Città” portata avanti da gruppi ambientalisti e da forze della sinistra che più sinistra non si può. Per questo aveva deciso di dare appuntamento all’architetto Guarnazza, vecchio compagno di scuola di cui ogni tanto leggeva le vignette satiriche su un blog cittadino. Voleva capire meglio quale fosse il contesto, come dicevano gli esperti criminologi alla TV.

Guarnazza, era noto sin da piccolo per non essere mai in orario. Arrivava o prima o dopo agli appuntamenti. Diceva che non era sciatteria, ma corrispondeva ad una lettura filosofica originale del concetto di tempo ed in particolare di presente, sosteneva che la puntualità era una finzione, un paradosso dell’esistenza. “L’unica cosa puntuale è la morte ed il Vigile Urbano, quando lasci la macchina in divieto” amava dire. Ed in effetti anche quella volta, fu coerentissimo con la sua interpretazione logica della quarta dimensione arrivando con più di mezz’ora di ritardo, senza per altro accampare scuse sul traffico ed i parcheggi.

“Cosa prendi” disse Leonardi.

A quest’ora un caffè grazie. Ma dimmi piuttosto che cosa vuoi sapere da me. Lo dico, perché non mi avresti mai chiamato se non per farmi delle domande sul tuo lavoro. Allora, si tratta dello sparo a Cardoni?”

“Si in effetti volevo avere una tua opinione su questo” spiegò l’Ispettore porgendogli la copia del foglietto anonimo.”

L’Architetto lo lesse inforcando meglio gli occhiali sul naso appuntito. Scosse i capelli brizzolati e ricci che portava un po alla moda dei dendy chic degli anni ’80 e iniziò una lunga spiegazione.

“Allora che cosa sai della crisi della fine degli anni’70? Della trasformazione urbanistica della Città? Della fine del PRIS? Insomma di ciò che è successo negli ultimi 30 anni in Città?”

“ Mah, un po’ quello che sanno tutti, quello che è uscito sui giornali o che ho sentito in servizio alle riunioni dei Partiti.” rispose l’Ispettore.

“Beh, non fare il belinone, almeno con me. E’ una questione che va avanti da anni. In realtà, tutti gli ambiti territoriali che hanno subito un repentino cambio di mission economica sociale…”

“Ferma ferma, un attimo non iniziare con tutti quei giri di parole che usate voi Socioarchitetti delle balle..fammi capire meglio”.

Prendendo respiro e cambiando tono, come se parlasse ad un bimbo, l’Archisatirico riprese il ragionamento.

“Insomma, il comprensorio e la Città sino agli inizi degli anni ’80 erano prevalentemente sostenuti e quindi costruiti per supportare un economia legata alle Partecipazioni Statali. L’ILVA, il Porto, L’ENEL, il ciclo del Carbone…”

“Cosa?”

“ Si il ciclo del carbone, cioè tutta la filiera dallo sbarco in Porto, alle Funivie, alla Cokeria, alla Centrale, così è stato e per molti versi è anche oggi. Con problemi che certamente conosci…”

“Si ma…”

“Insomma quel mondo finisce. Dopo un certo di menate e sconcerto, bisogna per forza fare qualcosa.”

Leonardi, quasi tossendo, replicò:

“E quel qualcosa sono le betoniere?”

“ Qualcuno la legge così.” replicò il simpatico architetto. “Io preferisco ammettere che di fronte alla grande crisi, alla grande occasione, non fummo tutti all’altezza. Abbiamo preferito le strade più facili, senza per questo portare sino in fondo ciò che avevamo immaginato”.

Un attimo di silenzio, come si dice cadde tra i due. Quindi la domanda del poliziotto fu:” Ma questo cosa c’entra con lo sparo a Cardoni?”

“Questa è una domanda alla quale devi rispondere tu, mio bel caro fungaiolo”. Era di dominio pubblico, infatti, che Leonardi fosse un fan sfegatato della ricerca di quei misteriosi esseri viventi che comunemente sono chiamati funghi e che per lui, però erano l’essenza del bosco. Del suo essere organismo completo ed unico. Del suo misterioso sussurro che  noi, poveri umani del XXI secolo, si sono dimenticati.

L’Archismilzo ne approfittò per ricordare a lui e al mondo, quanto gli importasse di mantenere sempre viva e vitale la sua filosofia sul tempo e si alzò quasi di scatto.

“Devo andare, sono già in ritardo di 12 minuti con un mio cliente. Ora che arrivo ne passano altri dieci e quindi sono in media. Grazie del caffè se hai bisogno chiamami.”

“Lo farò” disse l’ispettore, sapendo che se oggi si era fatto una cultura, un inchiesta andava ancora portata avanti. La sera, sempre triste e fredda, anche in un inverno strambo come questo, preannunciava una notte che non era ancora finita. 

Un pranzo tra amici

Finalmente, l’Inverno sembrava aver avuto voglia di far vedere di quale pasta era fatto.

Una sottile e gelida pioggerella, che si insinuava nei pochi spazi lasciati liberi dagli ingombranti piumini della gente, cadeva sospinta da un vento teso e freddo.

Leonardi si alzò quella mattina, sapendo che avrebbe dovuto girare molto con la Panda color ciliegia, ereditata dalla moglie.

Dopo una rapida colazione alla latteria, immancabilmente con focaccia e cappuccino, entrò in Questura infreddolito e mezzo bagnato. Appena avuto il tempo di salutare due giovani colleghi : “Come è andata la partita? I Vigili del fuoco vi hanno di nuovo massacrato?”, che venne chiamato dal capo.

Entrò nel Classico Ufficio di Ordinanza da Dirigente della Questura, alle pareti calendari dell’Arma, della Polizia, della Finanza, la foto del Presidente della repubblica, non ancora sostituito, vetrinetta con modellini dei modelli in scala delle automobili della Polizia e delle altre armi, tra cui spiccavano le due mitiche Lamborghini, che nessuno aveva mai visto dal vero.

Il dott. Lucchini, giocando con un tagliacarte della Camera dei Deputati, regalo del cugino Onorevole, iniziò a parlare guardando fisso un punto tra la finestra e l’altra sedia accanto all’ispettore.

“Allora, caro il mio Leonardi, questa questione dell’attentato al Cardoni, puzza come il rene di un pesce” . Chissà  perché? Pensò Leonardi.

Da Genova mi chiedono uomini e donne, per l’inchiesta su ‘ste cavolo di primarie. Il Procuratore mi chiede a che punto siamo, il Questore è incazzato nero con i giornali che ci fanno passare per allocchi. E poi di questa questione dello sparo, non riusciamo proprio a capire niente. Gli informatori non sanno niente . Insomma, come si dice una capra e un cavolo”. E dagli, smozzicò mentalmente il nostro.

“E poi la questione della Tirreno Power. Proprio un bel casino. In questa Città, sembra non succeda mai niente e poi di colpo…mille casini”. Facendosi serio gli chiese: “ Ti hanno dato il risultato degli esami della scientifica, vero?” Il Commissario, continuava ad ruotare con il deretano la poltrona presidenziale in finta pelle, come se assecondasse ritmicamente una danza boema.

“ Li ho visti. La pistola che abbiamo trovato è una Pieper 1920, calibro 6,35. Una pistola Belga degli anni ’20 dello scorso secolo. Una cosa da collezionisti. Non la usano di certo i terroristi o i criminali  professionisti.”

“Infatti”, riprese Lucchini. “Per questo non ci capiamo niente. Abbiamo sentito tutti, armaioli, collezionisti, antiquari, di qui e del Piemonte. Niente, nisba, nulla.”

Leonardi a quel punto scuotendo la testa rifletté ad alta voce: “Non ci resta che un gesto di un isolato, di un cane sciolto”.

“Appunto, cosa che ci potrebbe portare ad un inchiesta lunga. Non abbiamo tempo! Come si dice: la gatta che ha fretta fa i gattini sordi “. Ma non erano ciechi? Si disse tra se e se Leonardi.

“insomma, devi chiudere prima che puoi. Tanto ormai dello sparo a Cardoni, non frega quasi più niente a nessuno”.

Rientrato verso la scrivania, l’Ispettore si mise con pazienza a rileggere i verbali dei colleghi che avevano sentito passanti, residenti e naturalmente la vittima, cercando qualche incongruenza, qualche segno, qualche traccia. Fece due telefonate a due conoscenti che bazzicavano ambienti dell’estrema sinistra, ricavandone ancora una volta un buco nell’acqua. Quindi  si mise a compilare una serie di moduli burocratici ,destinati al Ministero, dei quali gli sfuggiva la vera utilità.

Alle 11, salutando i colleghi ed il piantone, uscì per andare al Mercato Civico per comperare gli ingredienti del pranzo tra amici che lo attendeva a casa di Luca Perotto.

Si trattava ormai, da una vita, di una tradizione, non scritta, che metteva insieme Lui, Luca e Giovanni Denti, in una sorta di club, composto da un terzetto scomposto per attività e professione, ma talmente radicato, da far pensare ad un rapporto quasi amoroso. Uno di quelle amicizie che si sedimentano nel tempo. Un rapporto che aveva  i suoi tic, i suoi messaggi sottintesi, le sue abitudinarie scelte discorsive,  i suoi ammiccamenti, le sue idiosincrasie, come quelle vecchie coppie che osservano l’avanzare degli anni e dei pomeriggi, da dietro una finestra scrostata e ingiallita, ma robusta. Senza tristezze o malinconie eccessive, senza eccessivamente piegarsi all’incedere impietoso del tempo.

A Leonardi, il mercato Civico era sempre piaciuto. Soprattutto per l’odore confuso delle merci e delle verdure, che si respirava appena entrati.

Come un bimbo di fronte alle vetrine di un negozio di giocattoli, ammirava con curiosità la sontuosità delle latte di acciughe aperte o dei peperoncini secchi ben allineate, quasi come un mazzo di fiori. Le tante specialità liguri o di altre regioni italiane che ammiccavano al pervicace visitatore, non mosso solo dalla fretta, ma dalla curiosità e dal desiderio.

Poi, sotto al mercato del pesce, la curiosità abbrivia verso la consapevolezza.

La consapevolezza di avere a che fare, con “merce” già piena di vita e che, immersa nel ghiaccio secco, testimonia ancora la grandezza e la generosità del mare e della fatica degli uomini che cercano di approfittarne.

“Sergio, al di là di quei cadaveri che osi far passare per pesce fresco, ce l’hai un chilo di vongole veraci?” . Era il tormentone con il quale entrava in scena. Ogni volta lo stesso, cambiando solo l’ingrediente che aveva in mente e al quale il finto malcapitato si prestava con l’impeto guascone che gli apparteneva.

“Quindi oggi serviamo gnocchetti con vongole e porcini” pensò l’Ispettore, che si era pensato la ricetta durante il dormiveglia notturno.

Qualche altro negozio e poi via, verso la casa di Luca, dove, appunto, come tradizione, si presentava giusto il tempo per preparare i soffritti in attesa che il terzetto si ricomponesse.

Un terzetto, come si è detto, costituito da un poliziotto, un amministratore di condominii ormai sufficientemente scettico sulla capacità della razza umana di possedere un sano buonsenso che gli impedisca di estinguersi e un dirigente della più grande associazione presente in Provincia, sempre alle prese con l’ottusità della burocrazia e la senilità della propria base.

Il rito, prevedeva dopo un breve saluto di prammatica, un ferreo avvicendarsi di temi che avrebbero riempito quelle poche ore passate insieme. Prima il cazzeggio, poi l’immancabile discussione sulle donne in tutte le sue possibili ed immaginabili varianti, poi, ma solo poi, sarebbe venuto il momento della discussione su temi che potremmo considerare seri.

Fu così che dopo l’ingresso di Giovanni, ultimo arrivato, anche questa una tradizione, risuonò per prima il fatidico e prevedibile ( quell’anno) : “ E’ un grande Genoa. Quest’anno è almeno da Europa League, ma che dico, ci giochiamo la Champions.” Si trattava della costante entrata che, di fatto, riportava tutti e tre a vivere un momento “altro”, forse una breve e sottile “seconda vita” rispetto ai casini, ai guai, alle preoccupazioni della vita, che intanto scorreva in P.zza Saffi.

Ci volle veramente poco, però, quella volta, per arrivare al cuore della curiosità degli amici di Leonardi.

Ma prima arrivarono, nella stanza da pranzo allestita nel bovindo, i gnocchetti con vongole e funghi che Leonardi aveva preparato e che, appunto da tradizione, erano stati via via modificati, con l’aggiunta di un po’ di pepe, di una spezia qua, di un po’ di olio là, tanto per dare alla portata un ruolo non da comparsa, ma da “spalla” della discussione.

Dopo tre o quattro forchettate, le domande sull’inchiesta “Cardoni” si fecero spazio tra il conviviale e filosofico:”

“Non voglio, certo metterti in imbarazzo, ma allora sull’attentato, cosa ci puoi dire? O attenzione se c’è il segreto istruttorio, ci mancherebbe” disse Giovanni agguantando un altro piatto di gnocchetti

“ Garda pipillo, che non c’è nessun “segreto istruttorio”. Anzi, a dir la verità brancoliamo un po’ nel buio. Ma visto che ne parli…voi cosa ne pensate?”

“Mah, per me non sono stati gli anarchici” replicò Luca, che nel frattempo riempiva i bicchieri di un ottino vermentino a tutti e due.

“ Secondo me, tra i giornali, le tv e voi sbirri, state tutti sbagliando strada. Avete mai razionalizzato il messaggio che è uscito sui giornali? “ cosa vuole dire “costa più un proiettile o una betoniera”? Chi può averlo scritto? Lo sparatore, ma anche un mitomane, persino uno che voleva depistare”.

Il ragionamento stava in piedi, ed era appunto quello a cui aveva  pensato anche Leonardi.

Dopo la giusta pausa per sparecchiare la tavola ed offrire caffè ed ammazza caffè, si passo ad argomenti paradossalmente più faceti, ma che per il poliziotto, assumevano un valore altissimo guardando alla sua vita. Non quella che interpretava sulla scena del teatrino professionale, ma soprattutto quella che lo toccava nell’intimo.

Luca, con contrizione, forse non voluta, chiese: “ e con “Quasi come và?”

“Quasi” era per i tre amici, il soprannome della fidanzata, al secolo Patrizia Grandi, era una dipendente comunale, chiamata dai tre “Quasi”, perchè : “quasi fidanzata, quasi amica, quasi amante” del Leonardi, come una volta da Lui fu definita.

Era cosa conosciuta ai più che dalla tragica vedovanza, Leonardi, dopo tre anni passati nel requiem costante della moglie, incapace di pensare ad una vita che esulasse dalla sua sfortunata solitudine, si fosse messo, o per meglio dire quasi abbarbicato a Patrizia, diviso tra la scivolosa passione carnale e la paura di estromettere una figura cardine della sua precedente vita.

Qualche lettore, potrà pensare, che si tratta di una sudditanza psicologica, anzi di un remake letterario più che presente nella storia dell’uomo e delle donne.

Tutto vero, ma per Leonardi era quasi impossibile, pensare ad una vita diversa, da quella che aveva vissuto, con l’illusione dei begli anni con sua moglie.

Tutto per lui, dal momento in cui era restato solo, era diventato un “quasi”. Un ipotesi, oppure meglio, era diventato una realtà parallela, nella quale, al massimo poteva adagiarsi e fare poco di più.

Fu una frase di Giovanni, che lo fece fremere. Una frase che più o meno diceva: “ hai provato a sentire se nell’area del disagio, tra quelli che non hanno più speranza, ci fosse una traccia, un orma, un segno che ti possa portare alla fine dell’inchiesta”.

Fu così che l’Ispettore uscendo dalla casa teatro della sua consueta e tradizionale occasione di vita, si trovò in via Torino, a riflettere sulle parole degli amici. Forse era il caso di sentire alcuni dei suoi più preziosi contatti con la realtà nascosta della Città.

Si avvicinò alla sua automobile, che nascosta dal buio del parcheggio di via Piave, pareva aver perso l’indecente colore ciliegia per assumerne uno più serio e forse, più tetro. Fu così che dopo aver affrontato il costante vento freddo di quei “giorni della merla” chiuso nel suo parka color militare, decise di prendere a gran velocità via S. Lorenzo e avvicinarsi a Lavagnola, dove forse avrebbe potuto incontrare chi poteva aiutarlo.

Nel frattempo la notte scendeva, ancora smorzata dalle luci rossastre del tramonto, ma a detta di tutti, sarebbe stata ancora una notte senza fine.

 5 Dove si scopre che in una sacrestia, non sempre c’è silenzio
 Camminare con le Clark color pistacchio di questi tempi e con questo clima, avrebbe potuto sembrare un azzardo. In realtà, il Consigliere Regionale, appena giunto da una riunione in Via Fieschi, non poteva farne a meno.
 Iniziava a nevischiare, più una pioggia gelata che veri fiocchi nevosi.
 I marciapiedi di pietra tagliata di via Montenotte, scivolosi  e gelati, sembravano sottrarre tramite le  suole in para, tutto il calore che le calze in misto cotone, ormai umidicce, faticosamente avevano accumulato durante i  lunghi consessi della giornata.Il suo passo era ad un tempo deciso e sicuro. Sapeva benissimo…. 

che il colloquio con il Procuratore della Repubblica, poteva essere determinante e definitivo. Ora che, dopo le liti, le ripicche, le polemiche, le denunce, si era faticosamente ricostruito l’”unità del Partito”, il caso “Cardoni” andava chiuso senza se e senza ma. Troppo pericoloso trascinare una vicenda del genere in campagna elettorale. Già la vicenda del listino, la chiusura  di Tirreno Power, le lotte tra i presunti candidati alle elezioni, sempre più dei seggi disponibili, erano argomenti che creavano problemi e squilibri ad una soluzione, che solo qualche mese prima, sembrava semplice.

Una forte ventata lo fece rabbrividire, proprio quando iniziava a salire i gradini di quel palazzo che la nomea popolare voleva storto, sia per evidenti motivi architettonici, sia perché in altri periodi storici divenne famoso come un “porto delle nebbie”. Dove amici e amici degli amici, vedevano o potevano vedere soffocate sul nascere inchieste a loro nome o a loro riconducibili.

L’ascensore traballante e claustrofobico lo portò al quarto piano, dove nel lungo corridoio, un poliziotto in borghese gli fece cenno di attendere seduto sulla piccola e fredda panchetta sistemata sui lati. Da una spaccatura sul cemento grigio, gocciolava, con continuità cronometrica una goccia di acqua sporca. Le grandi ventole riscaldanti pensate negli anni ’70 e istallate dieci anno dopo, nonostante il gran rumore, ottenevano scarsi risultati, almeno per quanto riguardava la temperatura percepita.

In quei momenti, chiunque, anche l’uomo più trasparente ed onesto del mondo, avrebbe vissuto e sentito un certo fremito nelle parti più intime delle viscere. Forse, certi uffici pubblici, quelli preposti all’inquisizione e agli inquirenti, avevano questa caratteristica comune. Il Consigliere fece mente locale, di proporre ed introdurre nella legislazione regionale, un criterio di maggior vivibilità degli uffici pubblici. Caso mai utilizzando  la consulenza di Paola di Real Time, per rendere più accoglienti gli ambienti pubblici. Proprio nel momento in cui rifletteva sull’impatto di questa ipotetica consulenza sul bilancio regionale, il poliziotto in borghese, vestito da poliziotto in borghese, gli fece cenno di accedere nell’ufficio del  Procuratore della Repubblica, che lo salutò con una stretta di mano appena accennata. Il Capo della Procura era un uomo sulla sessantina, con un lieve accenno di grigio sulle tempie. Accennò appena di accomodarsi  al suo interlocutore. Il Consigliere si sedette e scoprì, che anche le sedie di quel posto erano ostiche, fredde ed inospitali. Decise di saltare i soliti convenevoli e di mettere subito i “piedi nel piatto”.

Mi scusi Procuratore, se la ho disturbata e se l’ho fatto in un momento nel quale la so impegnata in ben altre vicende importanti per l’equilibrio e la Giustizia della nostra comunità…”

“ In effetti mi sono chiesto anch’io il motivo di questa visita. La quale non penso motivata da galanteria istituzionale.”

Il Consigliere non poté fare a meno di deglutire, maledicendosi per quella sottomissione all’atavico timore espresso da tutti gli umani obbligati a frequentare  quegli spazi.

Decise quindi di stringere il colloquio, senza parafrasi. Si risistemò gli occhialini rotondi e decisamente riprese.

Caro Dottore, Lei sa meglio di me che la politica, vive di momenti topici, di situazioni, che la ingarbugliano, al di là delle volontà dei singoli o delle organizzazioni. Il nostro è un Partito che per la sua dimensione e per le sue responsabilità, deve ogni giorno fare i conti con problemi e decisioni che nel bene e nel male, possono essere molto complessi.”

“ Caro Consigliere, conosco bene, se vogliamo dire così, per esperienza professionale, la complessità e le innumerevoli variabili che la politica presenta. Ne ho avuto a che fare direttamente tanti anni fa. E devo, candidamente ammettere, che al di là della questione penale, dei reati insomma, il vero problema per me e i mie collaboratori, è sempre stato quello di capire sino in fondo proprio gli intrecci, gli “specchi” se vogliamo definirli così, che continuamente creano una  immagine sfalsata delle vicende. Lei conosce i caleidoscopi?”

“Certo, sono quel gioco da bambini dove girando la parte terminale del tubo, i cristalli inseriti all’interno, cambiano continuamente, facendo cambiare di conseguenza il disegno in mille modi diversi.”

“ Esatto, così, nella mia esperienza ho visto la politica. Di colpo amici veri, mi parevano diventati ostili. Da un momento all’altro, processi che sembravano chiari ed evidenti, sembravano poggiati sull’argilla. Persone che apparivano avversari, tra di loro, in realtà si supportavano, se non erano complici. Capisce perchè, quando mi si chiede se conosco gli schemi della politica, mi metto subito all’erta?”

Un altra deglutizione fece domandare al Consigliere se fosse stata una buona idea presentarsi in quell’ufficio. Decise di tagliare il più possibile la conversazione.

“Vengo al dunque. Oltre a sottolinearle la completa fiducia nella magistratura da parte mia e del mio Partito, la mia visita ha lo scopo di capire se l’attentato a Cardoni è sulla strada della risoluzione o meno. Le capisce che di questi tempi, tra inchieste sulla Centrale, le Primarie, con i loro chiamiamoli così “effetti indesiderati”, la crisi economica, non ci teniamo proprio a pochi mesi dalle elezioni, a rischiare un altro colpo di immagine.

Il Procuratore prese una biro e si segnò qualcosa su un foglietto. Alzò poi la testa e sorridendo al Consigliere, disse:

Lei ha idea di quanti reati anche gravi rimangono impuniti nel nostro Paese? Non mi riferisco al percorso processuale, ma proprio agli episodi in sé.

Capisco che un  episodio inquietante come quello, lasci aperte nell’opinione pubblica domande che possono allarmare, ma non sempre i colpevoli sono facilmente rintracciabili.

Purtroppo, i tagli ai nostri organici e a quelli delle forze dell’ordine, proprio in considerazione del periodo così, diciamo, “nervoso” , non ci consentono di impegnarci di più. Questo anche in considerazione del difficile rilevamento di tracce o indizi.

Comunque le assicuro il massimo impegno e nel caso di novità, la terrò aggiornato per la vie brevi.”

“La ringrazio”. Ribatte non troppo convinto l’uomo politico.

Ebbe per qualche istante la tentazione di chiedere ulteriori informazioni, ma capendo che avrebbe trovato soloun muro di gomma, espletati i convenevoli previsti dalla buona educazione, uscì dall’ufficio. Decise di prendere le scale, soprattutto per prudenza, dopo che aveva letto che qualche giorno prima,  proprio alla sera, un addetto alle pulizie era rimasto chiuso nell’ascensore per quattro ore in attesa dei soccorsi.

Uscì in strada coprendosi con il bavero del cappotto. Il vento sferzava i pochi passanti. Il Consigliere riprese l’auto dal parcheggio a pagamento insoddisfatto del colloquio appena avuto. Certo non pensava di avere informazioni di prima mano, ma almeno era convinto che avrebbe capito un po’ di più  a che punto si trovava l’inchiesta. Decise che l’indomani avrebbe fatto qualche telefonata a Roma per chiedere lumi e sostegni.                                                                                                                                                                

Il pranzo con i due amici lo aveva veramente imbambolato. Non erano i gnocchetti alle vongole e funghi, che ora galleggiavano nello stomaco come naufraghi senza speranza. Nemmeno il Vermentino di Albenga o l’ammazza caffè  lo avevano messo Ko.

Piuttosto un  sentimento accentuato di rilassatezza, che lo pervadeva. Provò a telefonare con il cellulare per accertarsi che chi voleva incontrare fosse disponibile.

Niente, dopo alcuni squilli, l’immancabile refren: “il cliente desiderato potrebbe avere il cellulare spento od irraggiungibile, si prega di riprovare più tardi”.

Salì in macchina e decise di provare lo stesso a passare dal suo contatto. Salì in via San Lorenzo e poi in Via Verdi. Arrivato nel quartiere, dopo aver superato la Società di Mutuo Soccorso, girò a destra e parcheggiò. In testa aveva sempre quel lampo che lo aveva illuminato quando aveva sentito  pronunciare dagli amici la frase: “senza speranza”.

Il vento acuiva la sua forza dentro lo stretto carruggio. Suonò alla porta a lato della piccola Chiesa. Dopo qualche tempo, sentì dei passi e uno sbrigativo: “Chi è?”.

Contemporaneamente allo schiudersi della soglia, venne investito, nell’ordine, da un sorriso e da un pezzo dei Pink Floyd a manetta. Il suono era talmente forte, che i muri in pietra sembravano doversi piegare.

Ah, ecco il nostro sbirro!” Ce ne hai messo di tempo per venirmi a trovare. “ Quasi urlò don Giacomo il prete più di frontiera della Città.

Ma dimmi, in questo periodo sei diventato sordo” gli gridò Leonardi “Come fai a stare in mezzo a questo casino? E i vicini non si incazzano”.

“Guarda che la casa più vicina è a cento metri e con questo vento, non si sente niente” .

Il prete fece entrare Leonardi, che come ogni volta, si guardò intorno incuriosito da quella grande e curatissima casa. C’erano libri su ogni ripiano dello studio, ma quello che a prima vista avrebbe potuto sembrare  un accozzaglia di volumi ed edizioni, era in realtà del tutto ordinato con  meticolosità e  logica.

Testi di teologia, di filosofia, di ermeneutica, di storia delle Religioni, si accompagnavano con metodo a romanzi classici non tralasciando alcuni bellissimi volumi di fotografia, editi dalla Cassa di Risparmio.

La scrivania era spoglia, quasi francescana. Solo un mac ultima generazione, spiccava sulla superficie.

Intanto i Pink Floyd continuavano l’incessante monologo musicale di Animals a un volume adeguatamente abbassato dal don.

Questo particolare esempio di sacerdote cattolico, durante il Concilio di Nicea, avrebbe sicuramente, dopo una lunga disquisizione, fatto qualche occhi nero ai propri avversari dialettici. Famoso per non aver peli sulla lingua, in particolare quando si trattava di denunciare le contraddizioni, le miserie, le menzogne dei propri superiori gerarchici e più in generale dell’ipocrisia cattolica, Don Giacomo, aveva una sterminata conoscenza delle Sante letture e dei miseri recessi dell’animo umano.

L’ispettore gli spiegò quello che stava cercando. In particolare lo mise a conoscenza di tutti i passaggi dell’inchiesta e dell’idea che continuava a lampeggiargli in mente. Si trattava di rintracciare una persona che avesse perso ogni speranza. Che non avesse più un futuro davanti, coperto forse da un passato doloroso e buio.

Don Giacomo lo ascoltò in silenzio, tirando ogni tanto una boccata dalla pipa che sapeva di toscano invecchiato. Poi, senza dire niente prese un foglio, vi scrisse qualcosa, lo consegnò al poliziotto.

Confido nella tua dolcezza e nella tua umanità.”

Lo accompagnò alla porta e con gli occhietti semichiusi dal fumo e dal vento, gli batte ancora una volta la mano sulla spalla. “Coraggio e speranza, ricorda”.

Le stelle splendevano in un cielo terso e buio. Questa notte valeva la pena viverla con qualcuno.

6  Dove un uomo, una mondana e una foto guidano l’ispettore

Il fremito violento degli alberi rinsecchiti di Corso Ricci, faceva quasi vibrare i vetri delle finestre dell’appartamento. Nonostante fosse mattino ormai fatto, solo le luci della cucina, permettevano a Cardoni di servirsi, senza ustionarsi, la tradizionale tazzona di caffè. L’orologio a parete che rappresentava una stilizzata torre Eiffel, vecchio presente di un compagno del PCF che aveva ospitato anni prima, segnava le nove, ma ad occhio, l’aria che si respirava era quella delle due ore precedenti.

Sua moglie, si muoveva con evidente nervosismo tra una camera ed il bagno, sempre parlandogli. 

L’aveva convinto ad andare insieme all’Iper a fare un po’ di compere. Aveva passato i primi giorni di convalescenza a casa di amici, nelle Langhe, per evitare approfondite interviste di giornalisti e più prosaiche domande dei tanti conoscenti che l’avrebbero certamente chiamato. Non poteva però stare rinchiuso in casa per sempre. Anche se la cosa lo innervosiva leggermente. 

Il primo impatto con la vita cittadina, lo colpì, non perchè fosse cambiato qualcosa di particolare ma, come sempre accade, quando per qualche tempo non viviamo un ambiente, ci sembra che i colori siano diversi ed i suoni più vivi. Spesso notiamo particolari che abbiamo avuto sotto gli occhi tutti i giorni e che ci erano sfuggiti. Dopo aver parcheggiato nel piano sotterraneo, entrarono nel Centro commerciale. Cardoni si sentì subito al centro di una muta attenzione, da parte di molti dei clienti che giravano con i loro enormi carrelli. Vetrine illuminate e indecentemente traboccanti di offerte, si susseguivano promettendo affari incredibili, con la stessa finta voluttà delle sirene di Ulisse.

L’anonima musica di sottofondo, si accordava stupendamente con i più vari suoni prodotti in quell’opificio di sogni a buon prezzo.

Per fortuna, sembrava non esserci nessun visitatore conosciuto o almeno così poco timido da rivolgergli la parola. Solo una cassiera di un negozio di intimo, amica della figlia, gli sorrise salutandolo con un grazioso gesto della mano.

Mentre sfilavano spingendo il loro tra enormi frighi, lunghi banconi di formaggi, pile di confezioni di pasta Barilla scontata e corridoi di prodotti per la casa, sua moglie continuava a proporgli ipotesi di menù che in pratica programmavano i pranzi e le cene delle prossime due settimane.

Tutto sommato era ora contento di averla seguita in quell’attività che solitamente detestava. Questo almeno lo distraeva per un po’ da quel continuo ronzare del cervello che lo riportava sempre alla fatidica domanda: “ Perchè?”

La cosa lo perseguitava forse più del piccolo e costante dolore che sentiva alla tempia.

Era il pensiero dominante a cui era  costretto sin da quando aveva ripreso conoscenza nel letto dell’ospedale.

Perchè? Per quale motivo. Aveva fatto e ne aveva avuto tempo, un lungo esame di coscienza.

Gli erano venuti in mente gli anni del monocolore, il periodo in cui aveva gestito la crisi dello “scandalo Teardo”, le difficili trattative con i Padroni del vapore dell’epoca, le invidie sotterranee sempre presenti in tutte le Comunità. Ma non riusciva proprio a capire il motivo di quel gesto e forse avrebbe dovuto dare credito a chi teorizzava fosse stato il gesto di un folle o di un errore.

Chiuse per un attimo gli occhi e gli venne in mente, come un oggetto che emerge dalla nebbia, un giorno di 40 anni prima. La gente, tanta gente, sulla strada, che compattamente, senza differenze visibili od evidenti, manifestava dopo il primo attentato, dopo la prima bomba. Bandiere, colori, indignazione, rabbia, ma anche paura, riempivano, come un quadro di Guttuso, l’immagine che aveva recuperato nella sua mente. Ma nonostante o forse a causa di questa, continuava a domandarsi silenziosamente: Perchè?

Il primo che ha detto che “il mattino ha l’oro in bocca”, non ha mai cercato di attraversare il Letimbro alle 7 del mattino di una giornata fredda e ventosa come quella. Leonardi attraversò la strada all’altezza della Questura e costeggiò il fiume, proprio quando i primi drappelli di studenti imbacuccati nei loro parka variopinti arrivavano dallo stazione. La loro meta sarebbe sicuramente stata qualche bar o caffetteria vicino alla scuola dove poter al caldo rifare colazione, fumare una sigaretta e cazzeggiare di amori e di calcio in attesa dell’orario di entrata. Il tutto, naturalmente, agitando perennemente le dita sugli smatphone utilizzati persino per inviarsi video e foto a 20 centimetri di distanza.

L’ispettore sapeva, che il suo obbiettivo sarebbe stato in zona dopo le 8 e quindi decise che valeva la pena anche per lui rifare la colazione e leggersi con calma i giornali. Cosa che a quelle ore ed i quei luoghi, vuole dire prima di tutto partecipare ad una guerra silenziosa, ma implacabile, tra pensionati mattinieri e impiegati in attesa dell’orario di inizio in ufficio per accaparrarsi la copia del raccogli notizie preferito. Bisogna essere scaltri e veloci in quei momenti. Non avere pietà né galanterie, se si vuole sbirciare velocemente notizie spesso già conosciute e sentite dalla TV oppure lette su internet.

Si narra esistano gruppi di pensionati organizzati al punto da impedire con ogni mezzo lecito  a chiunque di avvicinarsi a più di un metro dalle copie dei giornali, che verranno poi messe a disposizione degli altri avventori solo e soltanto dopo avere letto ogni riga, compreso l’oroscopo e i necrologi, delle stesse.

Alle otto puntuali, si avvicinò al mercato del lunedì, dove avrebbe incontrato la persona che cercava.

Le bancarelle erano quasi tutte aperte, anche se per l’ora e il freddo, i frequentatori scarseggiavano.

Decise di fare con calma il giro completo dei banchi, lasciando per ultimi quelli più vicini alle sponde del fiume.

Dopo circa mezz’ora la vide, gli si accodò e giunto a pochi metri da lei, la chiamò: “Caterina, Caterina”.

Facendo un sobbalzo una signora di una certa età, rotondetta e con i capelli candidi come la neve, raccolti in uno chiffon  si girò. “Oimemì . Gesùmaria, ma sei nescio? Mi stavi facendo prendere una sincope. Ma lo sai che qui tra rumeni, negri, e italiani, ci sono più mascalzoni che borsette?” Gridò quasi la donna, che trascinava con un certo sforzo due borse piene di verdura e frutta dalle quali facevano capolino due simpatici carciofi tutti ben puntuti.

“Ma dai esagerata come sempre. E poi sono un poliziotto no? Più sicura di così!”

“ Ben, già che ci sei portami ‘ste sporte che mi tagliano le mani col freddo che fa.”

Caterina, come già detto, era una donna di una certa età, originaria pugliese, ma il Liguria da oltre 40 anni. Da quando a causa del suo mestiere, che si narra sia il più vecchio del mondo, e di una gravidanza indesiderata stabilì la propria attività in Città e più precisamente dalle parti della vecchia Darsena.

“Guarda che se sei qui per le mie grazie, sai che sono in pensione da tempo.” disse ammiccando l’anziana signora.

“ Vorrei chiederti una cosa, posso accompagnarti a casa se vuoi così parliamo meglio”.

“Va bene allora, ma devo ancora passare dal panettiere e dalla EKOM. Hai tempo?”

“Tutto quello che vuoi” rispose sorridendo Leonardi.

Si avviarono affiancati. La mano ancora morbida della donna, accennò a prendere il braccio dell’ispettore, proprio come se fosse stato il figlio che l’aveva accompagnata a fare le compere della giornata. Alla fine del giro, breve come distanza ma lungo come tempo, il poliziotto trasportava, con un certo affanno almeno sette sacchetti contenenti tra l’altro quattro belle bottiglie da due litri d’acqua minerale.

“Ma l’acqua del Sindaco no?” Sbuffò il nostro, mentre si avvicinavano al portone dell’abitazione di Caterina: un palazzo fine ‘800 in via Niella.

Per fortuna c’è l’ascensore pensò Leonardi. Infatti un vecchio ascensore ancora in legno, traballando, li portò al terzo piano. Un tintinnar di chiavi e quindi dopo tredici infinite mandate, finalmente la porta si aprì. L’appartamento era pulito e ben arredato. Il pavimento in graniglia era lucidato a cera e un buon profumo di arrosto si spargeva dalla cucina al piccolo e ordinato salotto. Caterina mise sul tavolo le diverse sporte, iniziando a ricoverare le diverse mercanzie.

Ti faccio un caffè. Intanto mangiati un pezzo di focaccia che è ancora calda”.

Mai dire di no alla focaccia, che per altro oliata al punto giusto, emanava un profumo invitante.

Alle pareti qualche fotografia di Caterina più giovane in abiti di “scena” e due o tre acquerelli con paesaggi chiaramente vadesi.

“Me li ha regalati un mio vecchio cliente, diciamo così. Un uomo di altri tempi, gentile e timido, appassionato d’arte. E’ morto tre anni fa, poveretto.” Disse la signora portando caffè e zucchero .

“Allora mi vuoi dire che cosa vuoi da me?”

“Volevo sapere se conoscevi quest’uomo” e gli porse una foto presa dallo schedario della Questura quella mattina stessa.

“Cosa ha fatto?”

“Veramente ti ho chiesto se lo conosci.”

“ E già le domande le fanno gli sbirri….si lo conosco, almeno credo. Ai tempi in cui lavoravo, in darsena, lo conoscevano tutti. Non ricordo il cognome ma per noi, era “U meistro” *, lavorava all’Italsider e insegnava ai giovani operai il mestiere. Era molto rispettato. Molto serio.”

“Mai stato cliente?”

“Non più degli altri. All’epoca, eravamo un lusso…” E dicendo questo, si lisciò istintivamente i capelli, come ricordando momenti e situazioni passate.

“Lo hai visto recentemente?”

“Qualche volta al Prolungamento. L’altra estate, ricordo che stava al fresco a leggere il giornale. Mi pareva veramente depresso. Mi ha raccontato che qualche anno fa gli è morta la moglie. Il figlio vive a Milano da anni e quasi non lo cerca. Insomma…un uomo solo. Ne ho conosciuti tanti nel mio mestiere.”

“ Secondo Te è in grado di uccidere una persona?” Leonardi sentiva che stava arrivando a quagliare qualcosa. Forse arrivare a chiudere il caso “Cardoni”.

“Lui…non saprei. Mi è sempre sembrata una persona a modo, mai ubriaco, mai violento, mai fuori dalle righe. Era del sindacato, insomma un operaio comunista. Lo incontravo qualche volta da Maria, te la ricordi? Quella della trattoria in via Chiodo. Ora c’è un albergo o qualcosa del genere.”

L’ispettore guardò l’orologio del telefonino e decise che aveva dedicato fin troppo tempo a quell’incontro, anche se provava sempre un gran piacere a parlare con quella donna che conosceva la vita e la Città, in tutte le sue pieghe.

“Devo andare adesso. Grazie di tutto soprattutto della focaccia.”

Gli stampò un bacio sulla guancia e uscì dall’appartamento. Scendendo le scale, lo colse l’eccitazione e la frenesia di chiudere una vicenda che lo aveva travagliato negli ultimi giorni e che era stata la causa di qualche notte insonne.

 

L’autopark di Via Fieschi, è il frutto inverato della follia ingegneristica della fine degli anni ’70. Una specie di rave party dell’urbanistica. Un orgia di cemento ed asfalto aggrovigliato su se stesso e più vicino ad una tavola di Escher che ad una risposta razionale al bisogno di viabilità.

Il Consigliere, scese dal SUV parcheggiato, armato della comoda valigetta, per prendere l’ascensore dedicato che lo avrebbe portato sino al piano del Consiglio Regionale.

I suoi movimenti agili e disinibiti, svelavano una consuetudine ed una familiarità con gli ambienti e con la varia umanità presente, dovuti ai dieci anni di frequentazione assidua e con ruoli di alto profilo.

L’altro ascensore, più piccolo e più veloce, lo portò al piano del gruppo.

Dentro la sala “Enrico Berlinguer” lo aspettavano i due consulenti che si occupavano della campagna elettorale per le prossime Elezioni Regionali che si sarebbero tenute da li a pochi mesi.

Prima di entrare, Ada la Segretaria, gli passò la Rassegna stampa ufficiale sulle prime pagine della quale spiccavano le notizie delle carneficine in Libia, in Siria, in Ucraina e per maggior peso, anche delle proteste dei taxisti contro “Uber” . Diede una scorsa all’agenda del giorno, ed entrò nella stanza riunioni. Quasi contemporaneamente, si pentì di non aver acceso un sigarillo, ma avrebbe dovuto uscire sul ballatoio di emergenza e non c’era tempo. Si impegnò a farlo tra una riunione e l’altra.

I due consulenti erano vestiti come si sarebbero vestiti Ernst e Young. Cravatta a quadrettini cobalto su sfondo grigio, il tutto incorniciato da un bel vestito Grigio cupo, che fa tanto serietà ed efficienza.

Si salutarono con una stretta di mano veloce e ricordandosi vicendevolmente quanto poco fosse il tempo per le tante cose che ancora avrebbero dovuto fare.

Il primo a introdurre l’argomento fu proprio il Consigliere:

“Veniamo al punto, vi prego che tra mezz’ora ho la riunione capo-gruppi e poi quella di maggioranza. Allora il sondaggio che ho visto ieri mi pare buono, ma nella vostra introduzione, parlavate di una criticità. Di cosa si tratta?”

Parlò per primo il più basso tra i due, che evidentemente doveva essere la mente.

“Allora, come hai visto, il Partito va molto bene. Ci sono problemi di popolarità del candidato, del resto dovuto anche alle polemiche dopo le primarie. Ma tutto sommato, in linea con le nostre analisi. Il problema, se vogliamo definirlo così, è piuttosto la vicenda della sparatoria a Savona. Sai su questa vicenda si sono scatenati i social. Già i cinquestelle parlano di criminalità organizzata…”

“Ti fermo qui. Guarda che tutto si potrà dire di Cardoni, ma che sia anche solo sfiorato da vicende di camorra o andrangheta…”

“Scusa, ma vorrei spiegarmi meglio. Nel nostro mondo, quello che viviamo, non è importante il vero, ma il detto. Ti faccio un esempio, che ti potrà sembrare scemo. Un calciatore ed un attrice vanno a cena. Tra di loro, potrebbe non esserci niente, se non l’amicizia o forse una complicità pubblicitaria. Tant’è che su Facebook, su twitter, sui social viene rimbalzata la notizia, ripresa dai giornali, di una loro relazione. Si tratta di una cosa finta, di scena, eppure per migliaia di cittadini, la cosa diventa vera, ci fanno commenti, ci costruiscono storie, con spin off che portano casomai la cosa sino a quella che io chiamo “giravolta mediatica”. Perchè se uno di loro si permette di smentire la notizia, tutti pensano che in realtà indirettamente lo abbia verificato nel senso di rendere vero.”

Il Consigliere ci pensò qualche secondo su.

“ E questo cosa c’entra con l’affare Cardoni”

Questa volta fu il lungo a intervenire. Secco nel fisico e nella sentenza logica.

“ Se tanto mi da tanto, come ha giustamente detto Giorgio, ciò che è montato sui social relativamente alla questione Cardoni, potrebbe creare un problema durante la campagna elettorale. Le domande che tutti si fanno è perché un ex Sindaco, stimato da tutti e se vogliamo molto critico nei confronti della nuova formazione politica, viene sparato davanti alla sede del Partito e di questa questione non solo non trapela niente, non solo non si capisce chi è o chi sono gli autori, ma soprattutto il Partito fa finta di niente. Ti abbiamo fatto una scansione del report su ciò che circola in rete. E’ qui e puoi ben vedere che il 14% dei nostri elettori, su questa questione, vedono cose, vere o presunte, che noi non vediamo. Potrebbe essere un problema se la questione non viene chiusa in un modo o nell’altro.”

Sistemandosi gli occhiali, il Consigliere sentì uno scoramento improvviso. Per una questione così marginale, non poteva frantumarsi il disegno per cui lavorava da oltre due anni.

Giocò ancora una volta con la bic che teneva in mano e con la moquette color giallo itterizia che gli toccava quasi le caviglie. Si doveva trovare una soluzione per limitare l’impatto di questo problema. Ci avrebbe pensato dopo la riunione delle 10.

Leonardi dopo un veloce aperitivo al Sunrise caffè, dove se da un lato poteva incontrare amici vivaci, doveva anche buttare continuamente un occhio alla macchina in seconda fila, a rischio di implacabile multa dei Vigili urbani. Operatori della sicurezza, che parevano sonnecchiare, quando si trattava di rispondere ad una richiesta di aiuto da parte di un cittadino, ma che erano assolutamente efficienti ed implacabili nel riempire i formulari dei verbali delle multe per divieto di sosta. Aveva un appuntamento fissato con Luca da Vini e Farinata per le 13 e ci si avvicinò, sapendo che l’amico avrebbe potuto ritardare essendo impegnato a definire il grado di “muffosità” di un appartamento in Via Luigi Corsi.

Tutto sommato, fu sorpreso dalla quasi puntualità dell’amico, che era riuscito, evidentemente, a fare uno sbirigozzo al condomino e ad accelerare la sua dipartita dalla triste speculazione condominiale.

Ora, se c’è una cosa che in Città, non potrà mai essere replicata o copiata, è la farinata di Giorgio.

Non si vuole qui esercitarsi in una mera e vacua valorizzazione di un prodotto locale, che tanto fa eatitaly. Chi può e chi vuole vada a provare di suo, il valore della cucina “povera” e ricca di cui stiamo parlando. I due amici, dopo l’ecumenico piatto di farinata mista, si esercitarono nella degustazione, l’uno dei calamari ripieni alla ligure, l’altro di un ottimo coniglio al vino bianco. Espressioni profonde e non dette di quanto la riservatezza di questa parte d’Italia, si esprima  con i gusti più delicati e semplici di una cucina “chiusa” tra la terra povera ed un mare ingrato.

Quando ormai si era arrivato alla formaggetta con le olive, ben sapendo che il caffè si sarebbe dovuto sorbire in un altro locale, Leonardi, raccontò e descrisse per sommi capi i risultati ad ora della sua inchiesta.

Non che Luca per età, potesse conoscere “U Meistro”, anzi, era un tentativo, ma essendo erede di una storica agenzia marittima, forse aveva conosciuto….o almeno ne aveva sentito parlare…

Niente..il nome, o meglio il soprannome, non gli ricordava nessuno. Si lasciarono dopo il caffè in piazza della Rovere dandosi appuntamento alla settimana successiva, per il tradizionale pranzo del Club “dei perplessi”.

CONTINUA 

 

Condividi

Lascia un commento