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5° parte del romanzo I segreti di via Untoria

CONTINUA L’AVVINCENTE ROMANZO IN SETTE  PARTI
DI ROBERTO DE CIA
DEDICATO ALLE PRIMARIE E ALLA VITA POLITICA SAVONESE
Quinta parte
5 Dove si scopre che in una sacrestia, non sempre c’è silenzio
Camminare con le Clark color pistacchio di questi tempi e con questo clima, avrebbe potuto sembrare un azzardo. In realtà, il Consigliere Regionale, appena giunto da una riunione in Via Fieschi, non poteva farne a meno.
Iniziava a nevischiare, più una pioggia gelata che veri fiocchi nevosi.
I marciapiedi di pietra tagliata di via Montenotte, scivolosi  e gelati, sembravano sottrarre tramite le  suole in para, tutto il calore che le calze in misto cotone, ormai umidicce, faticosamente avevano accumulato durante i  lunghi consessi della giornata.
Il suo passo era ad un tempo deciso e sicuro. Sapeva benissimo….

che il colloquio con il Procuratore della Repubblica, poteva essere determinante e definitivo. Ora che, dopo le liti, le ripicche, le polemiche, le denunce, si era faticosamente ricostruito l’”unità del Partito”, il caso “Cardoni” andava chiuso senza se e senza ma. Troppo pericoloso trascinare una vicenda del genere in campagna elettorale. Già la vicenda del listino, la chiusura  di Tirreno Power, le lotte tra i presunti candidati alle elezioni, sempre più dei seggi disponibili, erano argomenti che creavano problemi e squilibri ad una soluzione, che solo qualche mese prima, sembrava semplice.

Una forte ventata lo fece rabbrividire, proprio quando iniziava a salire i gradini di quel palazzo che la nomea popolare voleva storto, sia per evidenti motivi architettonici, sia perché in altri periodi storici divenne famoso come un “porto delle nebbie”. Dove amici e amici degli amici, vedevano o potevano vedere soffocate sul nascere inchieste a loro nome o a loro riconducibili.

L’ascensore traballante e claustrofobico lo portò al quarto piano, dove nel lungo corridoio, un poliziotto in borghese gli fece cenno di attendere seduto sulla piccola e fredda panchetta sistemata sui lati. Da una spaccatura sul cemento grigio, gocciolava, con continuità cronometrica una goccia di acqua sporca. Le grandi ventole riscaldanti pensate negli anni ’70 e istallate dieci anno dopo, nonostante il gran rumore, ottenevano scarsi risultati, almeno per quanto riguardava la temperatura percepita.

In quei momenti, chiunque, anche l’uomo più trasparente ed onesto del mondo, avrebbe vissuto e sentito un certo fremito nelle parti più intime delle viscere. Forse, certi uffici pubblici, quelli preposti all’inquisizione e agli inquirenti, avevano questa caratteristica comune. Il Consigliere fece mente locale, di proporre ed introdurre nella legislazione regionale, un criterio di maggior vivibilità degli uffici pubblici. Caso mai utilizzando  la consulenza di Paola di Real Time, per rendere più accoglienti gli ambienti pubblici. Proprio nel momento in cui rifletteva sull’impatto di questa ipotetica consulenza sul bilancio regionale, il poliziotto in borghese, vestito da poliziotto in borghese, gli fece cenno di accedere nell’ufficio del  Procuratore della Repubblica, che lo salutò con una stretta di mano appena accennata. Il Capo della Procura era un uomo sulla sessantina, con un lieve accenno di grigio sulle tempie. Accennò appena di accomodarsi  al suo interlocutore. Il Consigliere si sedette e scoprì, che anche le sedie di quel posto erano ostiche, fredde ed inospitali. Decise di saltare i soliti convenevoli e di mettere subito i “piedi nel piatto”.

Mi scusi Procuratore, se la ho disturbata e se l’ho fatto in un momento nel quale la so impegnata in ben altre vicende importanti per l’equilibrio e la Giustizia della nostra comunità…”

“ In effetti mi sono chiesto anch’io il motivo di questa visita. La quale non penso motivata da galanteria istituzionale.”

Il Consigliere non poté fare a meno di deglutire, maledicendosi per quella sottomissione all’atavico timore espresso da tutti gli umani obbligati a frequentare  quegli spazi.

Decise quindi di stringere il colloquio, senza parafrasi. Si risistemò gli occhialini rotondi e decisamente riprese.

Caro Dottore, Lei sa meglio di me che la politica, vive di momenti topici, di situazioni, che la ingarbugliano, al di là delle volontà dei singoli o delle organizzazioni. Il nostro è un Partito che per la sua dimensione e per le sue responsabilità, deve ogni giorno fare i conti con problemi e decisioni che nel bene e nel male, possono essere molto complessi.”

“ Caro Consigliere, conosco bene, se vogliamo dire così, per esperienza professionale, la complessità e le innumerevoli variabili che la politica presenta. Ne ho avuto a che fare direttamente tanti anni fa. E devo, candidamente ammettere, che al di là della questione penale, dei reati insomma, il vero problema per me e i mie collaboratori, è sempre stato quello di capire sino in fondo proprio gli intrecci, gli “specchi” se vogliamo definirli così, che continuamente creano una  immagine sfalsata delle vicende. Lei conosce i caleidoscopi?”

“Certo, sono quel gioco da bambini dove girando la parte terminale del tubo, i cristalli inseriti all’interno, cambiano continuamente, facendo cambiare di conseguenza il disegno in mille modi diversi.”

“ Esatto, così, nella mia esperienza ho visto la politica. Di colpo amici veri, mi parevano diventati ostili. Da un momento all’altro, processi che sembravano chiari ed evidenti, sembravano poggiati sull’argilla. Persone che apparivano avversari, tra di loro, in realtà si supportavano, se non erano complici. Capisce perchè, quando mi si chiede se conosco gli schemi della politica, mi metto subito all’erta?”

Un altra deglutizione fece domandare al Consigliere se fosse stata una buona idea presentarsi in quell’ufficio. Decise di tagliare il più possibile la conversazione.

“Vengo al dunque. Oltre a sottolinearle la completa fiducia nella magistratura da parte mia e del mio Partito, la mia visita ha lo scopo di capire se l’attentato a Cardoni è sulla strada della risoluzione o meno. Le capisce che di questi tempi, tra inchieste sulla Centrale, le Primarie, con i loro chiamiamoli così “effetti indesiderati”, la crisi economica, non ci teniamo proprio a pochi mesi dalle elezioni, a rischiare un altro colpo di immagine.

Il Procuratore prese una biro e si segnò qualcosa su un foglietto. Alzò poi la testa e sorridendo al Consigliere, disse:

Lei ha idea di quanti reati anche gravi rimangono impuniti nel nostro Paese? Non mi riferisco al percorso processuale, ma proprio agli episodi in sé.

Capisco che un  episodio inquietante come quello, lasci aperte nell’opinione pubblica domande che possono allarmare, ma non sempre i colpevoli sono facilmente rintracciabili.

Purtroppo, i tagli ai nostri organici e a quelli delle forze dell’ordine, proprio in considerazione del periodo così, diciamo, “nervoso” , non ci consentono di impegnarci di più. Questo anche in considerazione del difficile rilevamento di tracce o indizi.

Comunque le assicuro il massimo impegno e nel caso di novità, la terrò aggiornato per la vie brevi.”

“La ringrazio”. Ribatte non troppo convinto l’uomo politico.

Ebbe per qualche istante la tentazione di chiedere ulteriori informazioni, ma capendo che avrebbe trovato soloun muro di gomma, espletati i convenevoli previsti dalla buona educazione, uscì dall’ufficio. Decise di prendere le scale, soprattutto per prudenza, dopo che aveva letto che qualche giorno prima,  proprio alla sera, un addetto alle pulizie era rimasto chiuso nell’ascensore per quattro ore in attesa dei soccorsi.

Uscì in strada coprendosi con il bavero del cappotto. Il vento sferzava i pochi passanti. Il Consigliere riprese l’auto dal parcheggio a pagamento insoddisfatto del colloquio appena avuto. Certo non pensava di avere informazioni di prima mano, ma almeno era convinto che avrebbe capito un po’ di più  a che punto si trovava l’inchiesta. Decise che l’indomani avrebbe fatto qualche telefonata a Roma per chiedere lumi e sostegni.                                                                                                                                                                

Il pranzo con i due amici lo aveva veramente imbambolato. Non erano i gnocchetti alle vongole e funghi, che ora galleggiavano nello stomaco come naufraghi senza speranza. Nemmeno il Vermentino di Albenga o l’ammazza caffè  lo avevano messo Ko.

Piuttosto un  sentimento accentuato di rilassatezza, che lo pervadeva. Provò a telefonare con il cellulare per accertarsi che chi voleva incontrare fosse disponibile.

Niente, dopo alcuni squilli, l’immancabile refren: “il cliente desiderato potrebbe avere il cellulare spento od irraggiungibile, si prega di riprovare più tardi”.

Salì in macchina e decise di provare lo stesso a passare dal suo contatto. Salì in via San Lorenzo e poi in Via Verdi. Arrivato nel quartiere, dopo aver superato la Società di Mutuo Soccorso, girò a destra e parcheggiò. In testa aveva sempre quel lampo che lo aveva illuminato quando aveva sentito  pronunciare dagli amici la frase: “senza speranza”.

Il vento acuiva la sua forza dentro lo stretto carruggio. Suonò alla porta a lato della piccola Chiesa. Dopo qualche tempo, sentì dei passi e uno sbrigativo: “Chi è?”.

Contemporaneamente allo schiudersi della soglia, venne investito, nell’ordine, da un sorriso e da un pezzo dei Pink Floyd a manetta. Il suono era talmente forte, che i muri in pietra sembravano doversi piegare.

Ah, ecco il nostro sbirro!” Ce ne hai messo di tempo per venirmi a trovare. “ Quasi urlò don Giacomo il prete più di frontiera della Città.

Ma dimmi, in questo periodo sei diventato sordo” gli gridò Leonardi “Come fai a stare in mezzo a questo casino? E i vicini non si incazzano”.

“Guarda che la casa più vicina è a cento metri e con questo vento, non si sente niente” .

Il prete fece entrare Leonardi, che come ogni volta, si guardò intorno incuriosito da quella grande e curatissima casa. C’erano libri su ogni ripiano dello studio, ma quello che a prima vista avrebbe potuto sembrare  un accozzaglia di volumi ed edizioni, era in realtà del tutto ordinato con  meticolosità e  logica.

Testi di teologia, di filosofia, di ermeneutica, di storia delle Religioni, si accompagnavano con metodo a romanzi classici non tralasciando alcuni bellissimi volumi di fotografia, editi dalla Cassa di Risparmio.

La scrivania era spoglia, quasi francescana. Solo un mac ultima generazione, spiccava sulla superficie.

Intanto i Pink Floyd continuavano l’incessante monologo musicale di Animals a un volume adeguatamente abbassato dal don.

Questo particolare esempio di sacerdote cattolico, durante il Concilio di Nicea, avrebbe sicuramente, dopo una lunga disquisizione, fatto qualche occhi nero ai propri avversari dialettici. Famoso per non aver peli sulla lingua, in particolare quando si trattava di denunciare le contraddizioni, le miserie, le menzogne dei propri superiori gerarchici e più in generale dell’ipocrisia cattolica, Don Giacomo, aveva una sterminata conoscenza delle Sante letture e dei miseri recessi dell’animo umano.

L’ispettore gli spiegò quello che stava cercando. In particolare lo mise a conoscenza di tutti i passaggi dell’inchiesta e dell’idea che continuava a lampeggiargli in mente. Si trattava di rintracciare una persona che avesse perso ogni speranza. Che non avesse più un futuro davanti, coperto forse da un passato doloroso e buio.

Don Giacomo lo ascoltò in silenzio, tirando ogni tanto una boccata dalla pipa che sapeva di toscano invecchiato. Poi, senza dire niente prese un foglio, vi scrisse qualcosa, lo consegnò al poliziotto.

Confido nella tua dolcezza e nella tua umanità.”

Lo accompagnò alla porta e con gli occhietti semichiusi dal fumo e dal vento, gli batte ancora una volta la mano sulla spalla. “Coraggio e speranza, ricorda”.

Le stelle splendevano in un cielo terso e buio. Questa notte valeva la pena viverla con qualcuno.

(Continua)

La settimana prossima l’ultima puntata 

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