Cold war (Guerra fredda), di Pawel Pawlikowski, dicembre 2018, Polonia, Francia, Regno Unito, durata 84 minuti, drammatico, con Joanna Kulig (Zula), Tomas Kot, (Wiktor), Boris Szyc, Adam Ferency, bianco e nero.
Nella propaganda comunista del governo polacco degli anni ’50, (costretto a venerare Stalin come il leader mondiale del movimento proletario, pena ritorsioni sovietiche), c’è posto anche per l’arte, in particolare la danza e i cori più legati alle radici della tradizione culturale popolare. L’arte però deve sottostare a regole precise, rispondendo a finalità che il regime esige siano di incorniciamento estetico del sociale crudo rivoluzionato.
Una rinomata scuola musicale diretta dal pianista Wiktor (Tomas kot), artista di fama, amante della Polonia ma nello stesso tempo ostile verso una dittatura che limita ai cittadini le libertà più elementari, viene incaricata dai burocrati di partito di selezionare talenti femminili per la danza e il coro, ciò al fine di compiere esibizioni propagandistiche, mascherate d’arte, in varie località della nazione. E’ un modo per rafforzare o estendere i consensi, dipingendo una Polonia capace di fare dell’arte popolare il suo fiore all’occhiello: messo sugli abiti di una ideologia a lungo praticata e finalmente realizzata.
La bella Zula, appartenente a una classe povera, partecipa anche lei alle selezioni. E’ una ragazza seriosa ma comunicativa, maturata in fretta per aver difeso con le armi la sua dignità, minacciata dai tentativi di abuso del padre su di lei.
La sua prova canora è considerata buona, ed è tra le prescelte. Essa ha dimostrato nel colloquio con la giuria, di avere talento naturale, sia nella voce sia nel temperamento. aspetti che risulteranno fuori dal comune, tanto che l’ambizioso direttore artistico Wiktor finirà per affezionarsi a Zula fino ad innamorarsene (del tutto corrisposto).
Dopo diverse esibizioni di successo in Polonia, spesso con sullo sfondo una gigantografia inquietante di Stalin, Wiktor e Zula sono chiamati ad esibirsi nella Berlino comunista. E’ la grande occasione per Viktor, che approfitta di essere a un passo dal mondo libero per fuggire dall’est, con destinazione finale Parigi, Zula però non se la sente di seguirlo, percepisce la pericolosità di quel tentativo, teme un salto nel buio. Essa, di origini proletarie, appare ancora molto legata alla Polonia madre, quella più mitologica, e sa che può gestire al meglio il suo talento artistico, quello che le dà indipendenza, rimanendo a lavorare nella terra nativa.
Ma gli eventi storici, economici, politici, precipitano, e nuove relazioni affettive, o di stima, o di sicurezza, o erotiche si affacciano per entrambi all’orizzonte. Quando un giorno, casualmente, i due si incontrano a Parigi, Wiktor e Zula scoprono di amarsi ancora, forse più di prima, e andranno a vivere insieme per un certo tempo, sognando la realizzazione di nuovi progetti artistici.
Altri eventi socio-politici e oscure gelosie li separeranno, ma la forza del loro amore sarà tale che finiranno senza saperlo per cercarsi: grazie alle astuzie del loro inconscio.
Ma per quanto tempo sarà ancora possibile per loro vivere insieme?
Un film sorprendente, capace come pochi di comunicare più con il linguaggio fotografico e la musica che con le parole, donando allo spettatore quelle immagini che la parola non poteva dargli, immagini portatrici di un’impressione di realtà più potente del verbo. Una riuscita artistica piena sul cinico oblio che rilascia il tempo, incapace com’è di restituirci immagini vere del passato.
Un passato che si fa presente per magia della tecnica cinematografica, con immagini in movimento che duplicano il tempo.